Le riforme

15 febbraio, 2020 | 11 comments

Fino a qualche anno c'era l'urgenza di fare «le riforme», quelle «di cui il Paese ha bisogno» e che «ce le chiede» qualcuno, quelle per cui bisogna «mettere da parte le divisioni», «lavorare insieme» e «rimboccarsi le maniche». Come accade con le parole che diventano amuleti, nessuno allora sapeva con certezza in che cosa consistessero «le riforme», che cosa ci fosse dentro, e in questa indeterminatezza si compiva il loro incantesimo. Ne «le riforme» ognuno proiettava la propria idea di riscatto. Succursali del più ampio dominio del «progresso», seducevano tutti con la promessa di «avanzare» a patto che si lasciasse la direzione e la meta all'immaginazione di ciascuno.

Oggi si parla molto meno de «le riforme» perché - e aggiungo, purtroppo - le si fa. Al palesarsi del contenuto si eclissa il contenitore, al disvelarsi della violenza se ne tace l'annuncio o lo si affoga nel rumore dei suoi falsi moventi. Il riformismo in atto soppianta l'idillio delle sue sirene, ma ciò non significa che non se ne debba indagare il marchingegno per tentare almeno di soffocare le nuove inflorescenze del suo albero triste.

Storicamente il riformismo è una corrente pragmatica del pensiero socialista che si oppone all'approccio rivoluzionario nel predicare la graduale erosione del modello capitalista, o almeno il trattenimento delle sue derive più estreme in attesa di tempi storici propizi al suo smantellamento. Tolto dalla sua nicchia ideologica, il riformismo odierno richiama più decisamente quello dei despoti cosiddetti «illuminati» del secolo decimottavo, i cui provvedimenti miravano a «svecchiare» la società imponendo per legge le idee e i «valori» dei nuovi filosofi francesi: pensiero scientifico, «razionalismo», laicizzazione del governo, dei costumi, della cultura. Quel retaggio continua a pulsare nell'epoca che noi chiamiamo «moderna», ma che nei fatti scodella le stesse dialettiche da almeno due secoli - scienza vs superstizione, lumi vs oscurantismo, uguaglianza vs casta, civiltà vs barbarie ecc. - e, più a fondo, una visione dei tempi e dei rapporti sociali.

Rispetto al suo omologo socialista, il riformismo di oggi (cioè quello di duecentocinquant'anni fa) è sì rivoluzionario, ma nei modi speciali di una rivoluzione che non può consumarsi, si definisce nell'annuncio di sé e trae ogni linfa dal suo polo antagonista. Una rivoluzione siffatta deve sbilanciarsi tutta sul lato destruens e puntare le armi sul passato con la scusa del futuro. Non parla di miglioramento, ma di superamento, e per definire il superamento definisce solo il superando, cioè l'esistente e l'esistito, in una critica replicabile ad aeternum di ciò che, nominalmente obsoleto, coincide semplicemente con ciò che è reale. «Le riforme» promettono distruzione e possono tralasciare il resto perché nel mentre regalano il sogno di una svolta apotropaica e battesimale in cui tutti sperano, anzi ne sono certi, che vedranno soccombere i loro propri e personalissimi affanni.

L'evanghélion de «le riforme» deve confermarsi postulando l'avvento continuo di «tempi nuovi» che renderebbero inadeguati gli strumenti in uso. Ma l'annuncio, come quello del pastorello di Esopo, è screditato dal suo fitto ripetersi e dalla sua applicazione indiscriminata, o più ancora dal fatto che «le riforme» stesse creano circolarmente le «novità» che invocano e i problemi che dovranno essere poi sanati da altre riforme, a loro volta riformabili, in un moto accelerato e centrifugo dall'unica possibile, ma sacrilega, soluzione: la controriforma.

Siccome il bene è nemico del meglio, con «le riforme» non si migliora alcunché. Nella loro compulsione a ri-distruggere con cadenze sempre più strette si legge piuttosto la trama nichilista di una comunità che, disperando di potersi emendare, si scalda solo nell'immaginarsi azzerata. Non a caso i fronti riformisti (progressisti) più avanzati ribaltano il problema sui beneficiari - perché resistono votano contestano odiano dubitano inquinano ecc. - fino a predicarne la sostituzione o più direttamente l'estinzione, ultimamente perché emettono gas.

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Il combinato dell'aspettativa salvifica e della rottamazione a stretto giro di calendario produce sciagure concrete. «Le riforme», anche quando fossero utili e buone (periodo ipotetico dell'irrealtà, almeno negli ultimi quarant'anni), introducono discontinuità, costi e incertezze che si ribaltano sull'applicazione delle leggi. Richiedono tempi lunghi di ammortamento durante i quali l'eventuale beneficio non supera la fatica della messa a regime. Per difendersi da questi pericoli dovrebbero misurarsi con i vincoli della consuetudine, che messa in disparte dal diritto positivo rappresenta nondimeno un patrimonio sociale invisibile ma fondante, il moto inerziale che regge una comunità e la distingue da una massa. Dovrebbero riconoscere che la legge intrattiene un rapporto simbiotico con gli usi, che li accoglie e insieme li plasma in un processo di aggiustamento reciproco. Ma l'etica de «le riforme» disprezza tutto ciò, e lo fa anzi con orgogliosa intenzione. Già mentre prepara i suoi stravolgimenti e i costi sociali che seguiranno, li racconta come «opportunità» e «sfide» che creeranno dal nulla competenze, occasioni imprenditoriali e figure professionali nuove - cioè inutili e parassitarie - alimentando il carico già insostenibile dei «bullshit jobs» (David Graeber) che soffocano come una fumaggine le forze utili rimaste.

Nel rinverdire il magistero del dispotismo «illuminato» di cui è l'ultima scimmia, quell'etica vede nel sacrificio degli usi consolidati - e a fortiori delle tradizioni - non un prezzo necessario per guadagnare il meglio, ma il meglio stesso, l'obiettivo prioritario e designato dell'azione riformatrice. Come i detergenti delle pubblicità, «le riforme» sono tanto più riuscite quanto più sanno aggredire la crosta tenace della prassi, delle credenze e della morale del volgo, lo disorientano e gli impongono l'onere di una «modernizzazione» ormai indistinguibile dallo sbando di un gregge ferito. I destinatari de «le riforme» devono annichilirsi in un sentimento di difetto e di rincorsa continui, da un senso di colpa che diventa struttura per l'ansia di dimostrarsi degni di ciò che non sono. Agli artefici tocca invece il vezzo di credersi per qualche mese un Federico di Prussia o un Pietro Romanov, una Maria Teresa o un Giuseppe secondo, e di rimirarsi così agghindati allo specchio mentre si immaginano avanguardie di quella stessa storia che di lì a poco li restituirà all'oblio della sua spazzatura. Per chi riforma, fiaccare le resistenze e fustigare i «ritardi», «i pregiudizi», l'«arretratezza», le «false sicurezze», l'«analfabetismo» e le «comode abitudini» di un popolo che è sempre «fanalino di coda» di qualcosa è un vanto, deluderne le aspettative una missione, assecondarne il mandato una debolezza.

***

A chi giovano «le riforme»? Nella fase narrativa, più o meno a tutti, perché offrono a tutti la speranza di ripartire col piede giusto sbarazzandosi dei mali presenti. Nella fase attuativa, a chi, nel momento in cui si abbattono, ha i mezzi e i diritti per occupare i vuoti creati dalla loro devastazione: cioè ai più forti. Dovrebbe ad esempio essere ovvio che in un'epoca di quasi-estinzione o assimilazione della rappresentanza sindacale, qualsiasi riforma del lavoro (qualsiasi, senza bisogno di aprire i fascicoli) si risolverebbe in un indebolimento di tutele e salari. O che in un contesto di asservimento ai redditi da usura, qualsiasi riforma (qualsiasi) dei servizi pubblici limiterebbe l'accesso e la qualità di questi ultimi, dovendo estrarre un utile per gli investitori. O ancora, che mentre tre o quattro aziende informatiche fatturano più degli Stati e detengono i segreti di tutti, riformare l'amministrazione in senso digitale consegnerebbe loro poteri ancora più incontrollabili. Dovrebbe essere ovvio che chi è sotto attacco deve prima mettere in salvo i pochi beni che gli restano. Ma siccome sembra non esserlo, lo scrivo qui.

Aiuterebbe soffermarsi sul fatto che la consuetudine di azione-rappresentazione è a sua volta il residuo composito di «riforme» di diritto o, almeno in premessa, di fatto (ad esempio le guerre) che, dopo avere impresso il loro trauma, si sono lasciate smussare come cocci di vetro tra le onde. Fuor di metafora, che il sostrato identitario della comunità destinataria ha prima incassato il cambiamento e poi si è attivato a sua volta per cambiarlo (ad esempio, nel nostro ordinamento, tramite le pronunce costituzionali e del Consiglio di Stato, annullamenti, abrogazioni e disapplicazioni sul piano legale, emendamenti, integrazioni e soppressioni su quello politico, più a monte generando resistenze tali da rendere necessari aggiustamenti, sanatorie, ecc.). È così che alcune grandi riforme (senza virgolette) del passato hanno prodotto i loro frutti migliori: dandosi il tempo adattarsi alle necessità e agli stili dei destinatari. Tutto ciò è naturalmente lontano dal modus reformandi contemporaneo, che sembra anzi riconoscere questi processi solo per poterli meglio ostacolare. Il rilancio continuo, immotivato e compulsivo dell'azione riformatrice produce il risultato di istituzionalizzare gli stravolgimenti e i costi del frattempo, riaprendo nel corpo sociale ferite sempre nuove senza attendere che le vecchie si cicatrizzino, né che si attivino gli anticorpi necessari per arrestare la sepsi. In questo bagno di sangue sguazzano gli allegri chirurghi de «le riforme», cinici o vanesi, stupidi o calcolatori, consapevoli o inconsapevoli costruttori di un ordine che, suggerisce tra le quinte qualcuno, dovrà nascere dal grembo del caos.


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Obenda 27 febbraio, 2020 09:35

Ottimo, come sempre.

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disperato 22 febbraio, 2020 13:58

Leggo oggi su Twitter di Bagnai che tale Martella, politico del PD, ca va sans dire, ha avuto l' orrida pensata di finanziare l'editoria portando i giornali nelle scuole.

A parte che non si capisce perché anche i giornalisti non possano sperimentare la durezza del vivere che tanto hanno sponsorizzato per gli altri, ma qui la questione è altra ed è incredibilmente peggiore: avremo che i nostri ragazzi invece di leggere Leopardi o Macchiavelli finiranno col formarsi sui testi di Fubini o Saviano.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere.

La decadenza della società occidentale è inarrestabile, speriamo nella Russia.

Saluti.

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disperato 19 febbraio, 2020 14:48

Ovviamente leRiforme sono già in atto ovunque, e i danni maggiori sono nel versante sanitario.

Dopo l'obbligo di vaccini per tutti ho letto la simpatica (si fa per dire) proposta di rendere OBBLIGATORIA la mammografia per tutte le donne sopra i 45 anni. Qui ovviamente siamo al delirio che manco i nazisti si sarebbero mai sognati.

Per quel che vale (nulla) invito tutti (ma soprattutto i signori politici che legiferano) alla lettura del libro "Imparare a rischiare" di Gerd Gigerenzer, magari qualcuno riacquista il senno. Magari anche i nostri politici diversamente intelligenti (o diversamente onesti) comprenderanno il concetto di falso positivo, beneficio potenziale, danno potenziale (perché molte pratiche diagnostiche possono essere dannose)...

Saluti.

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disperato 19 febbraio, 2020 14:01

Caro Pedante, Lei ha ragione leRiforme sono già state fatte e viviamo nel magnifico mondo nuovo.

Ad esempio il progresso è arrivato in banca e io non riesco più ad aprire un conto corrente. Non sto scherzando, davvero non posso più aprire un conto corrente. Infatti da un po sto cercando, per provare a difendermi dal combinato disposto di MES e bail-in (altro grande progresso della civiltà), di aprire un nuovo conto per diversificare. Sono stato in due banche (bpm e Unicredit) e in entrambe è necessario fornire sia il numero di telefonino sia l'email. Io ovviamente non voglio, per ragioni di privacy e soprattutto di sicurezza (data la facilità con cui si possono subire furti d'identità), e ovviamente non voglio la firma grafometrica sul tablet (per le stesse ragioni). Quindi mi hanno respinto.

Non vogliono clienti che non sia possibile truffare (con la firma grafometrica sul tablet in cui non puoi mai sapere veramente cosa stai firmando) e spiare (sapendo telefonino e email). Inoltre se qualcosa dovesse andare storto (tipo ti svuotano il conto) sarà sempre possibile scaricare la colpa sul correntista che non ha vigilato sul suo telefonino o sul suo computer di casa.

E' già dittatura totalitaria. Non è un rischio, è certezza presente.

Il tuo denaro non è più tuo, è della banca.

La società liberista è un maledetto incubo che non finisce, come ai vecchi tempi il comunismo in Germania dell'Est (e il problema è che la Germania dell'Est non si è più ripresa dal comunismo). Saluti.

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Herzog 20 febbraio, 2020 14:56

Gentile @disperato, la soluzione del problema sollevato è la cassetta di sicurezza per il contante, affittata al costo di un piccolo canone annuale da tutte le banche.

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disperato 20 febbraio, 2020 18:31

Gentile @Herzog, Lei ha ragione ma solo entro certi limiti. Infatti se ritiri oltre una certa somma (1000 euro al giorno e 5000 al mese) nel nostro magnifico mondo nuovo vieni attenzionato dall'agenzia delle entrate. A parte ciò, esiste il problema dell'inflazione, che adesso è praticamente inesistente ma prima o poi ripartirà, e allora bisognerà avere i soldi nel conto e investirli in qualche modo (una volta si ovviava al problema comprando titoli di stato ma oggi nel magnifico mondo nuovo i rendimenti sono negativi e i titoli non sono manco sicuri, vedi alla voce MES).

Senza contare che stiamo parlando di euro, non di dollari. L'euro può saltare, inoltre con la scusa della lotta alla contraffazione (il Pedante direbbe che se non serve a niente allora ...), ogni tanto cambiano la forma delle banconote e quelle vecchie rischiano di non essere più accettate.

Infine, senza tediare oltre con i miei problemi personali, esiste il problema dell'assurdità di un sistema dove se vuoi un nuovo conto corrente devi accettare delle condizioni capestro sia sul piano della privacy che della sicurezza, appunto come se il denaro non fosse tuo ma della banca.

Credo che ci siano ragionevoli motivi per preoccuparsi e anche per ribellarsi. Ovviamente la protesta dovrà essere collettiva o sarà inutile, e io nel mio piccolo cerco di far prendere coscienza dei disagi che norme assurde anticittadino e prosuddito stanno provocando.

Saluti.

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Luebete 19 febbraio, 2020 11:05

Ho visto il link sulla presunta necessità di estinguere la specie umana.

La cosa divertente è che se da un lato si accusano i cambiamenti climatici di origine antropica come le cause dei problemi dei popoli (vedi ad esempio l'invasione di cavallette in Africa) si trova nella loro estinzione la soluzione, una sorta di eutanasia di specie.

Se fossi in loro, nella loro visione, non proporrei politiche verdi, perchè esse determinerebbero la soppravvivenza duratura della specie umana, ma piuttosto favorirei l'inquinamento che a poco a poco comporterebbe il declino di quella specie causa di ogni male, consapevole del fatto che la Terra, essendo sopravvissuta a ben più grandi catastrofi, riuscirà nei suoi tempi milionari a riprendersi: rendendo fertili luoghi inquinati e sostituendo le specie animali estinte con nuove specie, magari permettendo l'emergere di un essere intelligente quanto l'homo sapiens ma migliore (forse).

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Alfonso 18 febbraio, 2020 15:12

Si spaccia per progresso ciò che non lo è, semplice, strada spianata per il neofeudalesimo 3.0,come piace ai nuovi schiavi.

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Andrea Lenzi 17 febbraio, 2020 11:54

E' molto più facile e soprattutto realistico immaginare la fine della specie umana che la fine del capitalismo proteiforme e del suo straordinario controllo della narrazione. Infatti, ci riesco benissimo. Ad esempio (ce ne sono altri ma non voglio tediare) ovunque vi siano misure affidabili (Germania, UK, Danimarca) il 75% degli insetti è scomparso e un terzo del ciclo alimentare umano dipende dagli insetti impollinatori. Il numero degli spermatociti è normalmente pari a 120 milioni/ml ma dal 1973 a oggi è in calo del 1,9% annuo ed è ridotto a circa 40. La causa è la stessa che elimina gli insetti, l'inquinamento chimico del quale non si parla mentre il dobbiamo fare qualcosa sui cambiamenti climatici è su tutti i media ogni giorno. Motivo: sui cambiamenti climatici è sulla rampa di lancio la madre di tutti i business futuri e la prossima mega bolla finanziaria mentre sugli inquinanti chimici niet in quanto non hanno ancora trovato un modo differente per incamerare i miliardi che l'industria chimica accumula assassinando la biosfera. Poi Pachamama un giorno dà una scrollatina ed effettivamente il capitalismo predatorio termina, insieme a tutto il resto.

Jeremy Grantham

CHEMICAL TOXICITY

AND THE BABY BUST

Unexpected threats to human fertility and, hence, chemical companies

GMO, February 2020

Grantham Mayo van Otterloo (GMO) è una società di gestione patrimoniale con sede a Boston, si distingue per pubblicare ricerca di alto livello mantenendo nella propria attività un livello etico che gli altri operatori non hanno. Non è tutto guano.

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AlbertoM 16 febbraio, 2020 14:30

con identica pedanteria, sono quasi sicuro che intendesse dire "LeRiforme"...!

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Grazia 16 febbraio, 2020 08:54

Come sempre lei mette parole limpide che rendono evidenti le grandi ingiustizie ordite ai danni dei cittadini.

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