Il Pedante

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Ucraina, Auschwitz: l'antifascismo del giorno dopo (parte II)

29 marzo, 2015 | Politica

Leggi la prima parte.

Il 21 novembre 2013 scoppiava a Kiev la rivolta "Euromaidan", che pochi mesi dopo sarebbe culminata in un colpo stato con la deposizione e la fuga del presidente eletto Viktor Janukovyč (febbraio 2014), sostenuto dalla Russia, e l'insediamento in seguito a nuove elezioni dell'attuale presidente Petro Poroshenko, sostenuto da Europa e Stati Uniti. La Crimea e le regioni orientali di lingua russa, fedeli al presidente deposto, non riconobbero la legittimità del nuovo governo e chiesero l'indipendenza da Kiev. Mentre la Crimea veniva occupata dall'esercito russo e successivamente sanciva la propria annessione alla Confederazione russa con un referendum, le regioni di Donetsk, Luhansk e Kharkiv proclamavano la loro autonomia (Repubblica Popolare di Donetsk e Repubblica Popolare di Lugansk) ingaggiando con l'esercito governativo ucraino una guerra civile che dura ancora oggi.

Secondo i giornali occidentali la rivolta ucraina sarebbe esplosa in seguito alla mancata adesione dell'ex governo a un trattato commerciale di libero scambio con l'Unione Europea (!) e a causa della "corruzione" (!!) della classe politica. Una vulgata puerile e autocelebrativa, dove l'Europa appare come l'oggetto di un desiderio talmente forte da giustificare un'insurrezione con morti e feriti, e che nonostante ciò (o proprio per questo) ha attecchito in buona parte dell'opinione pubblica e della classe politica europee (qui ad esempio Gianni Pittella sull'Huffington Post). La realtà, ovviamente, è più complessa ma anche più razionale. Va ricordato che il territorio ucraino è da almeno due decenni al centro delle mire geopolitiche americane per l'allargamento a est della NATO e il controllo del transito del gas russo. Che a tale scopo gli Stati Uniti hanno investito cifre ingentissime per influenzare e corrompere politici e militari ucraini. Che già nel 2010, come ci informa Wikileaks, il governo filoccidentale di Julija Tymošenko e funzionari dell'ambasciata americana a Kiev progettavano le riforme (ahi!) con cui traghettare l'Ucraina in Occidente. Riforme devastanti per l'economia e il benessere degli ucraini, che con privatizzazioni, aumenti forzosi dei prezzi dei beni di prima necessità e smantellamento del welfare miravano a favorire gli investitori internazionali e gli oligarchi locali impoverendo le fasce medio-basse della popolazione. Oggi queste riforme, grazie alla rivoluzione e alla profonda crisi economica che ne è seguita, possono essere imposte ai cittadini ucraini per via economica come contropartita ai prestiti che il Fondo monetario internazionale è già pronto a elargire.

Morale (provvisoria): l'Europa dei diritti, quella che ha imparato il valore della democrazia piangendo sui luoghi-simbolo della dittatura nazifascista, acclama la deposizione violenta di un governo democraticamente eletto (quello di Viktor Janukovyč) e considera nullo il verdetto di un referendum popolare e il connesso diritto all'autodeterminazione di chi lo ha indetto (la Crimea). Legittima le elezioni degli amici ma non riconosce quelle dei nemici (Donetsk e Lugansk, novembre 2014). Fulminata sulla via del calvinismo, considera la "corruzione" un motivo moralmente e giuridicamente valido per sovvertire la volontà elettorale di un popolo. Poi però, riscoprendosi figlia di Machiavelli, chiude entrambi gli occhi sulla corruzione e la dissolutezza di chi ha raccolto i frutti di quel colpo di stato (il governo Poroshenko e la sua corte di oligarchi). E dopo avere chiuso gli occhi, chiude anche le orecchie per non raccogliere il lamento di una popolazione gettata nella miseria dalle riforme imposte dall'ovest attraverso il FMI - trattandosi peraltro delle stesse riforme che stanno "salvando" anche noi.

Ma fin qui nulla di nuovo. Anche in Italia - correva il novembre 2011 - fu deposto un "tiranno" democraticamente eletto per accogliere un vicerè non eletto ma gradito agli americani che, a colpi di riforme, avviò un'opera di distruzione di ricchezza, capacità produttiva e coesione sociale che dura ancora oggi.

Tornando in Ucraina, la parte più inquietante della storia è però un'altra. Oltre ai mercenari americani e ai militari israeliani (alla faccia dell'europeismo), alla rivolta "popolare" di Euromaidan avevano preso parte anche alcuni gruppi politici e d'azione locali di dichiarata fede nazista. Questi gruppi, che per ragioni storiche sono numerosi e ben organizzati nell'Ucraina occidentale, avendo svolto un ruolo decisivo nella cacciata di Janukovyč furono premiati dall'attuale governo con importanti cariche politiche e amministrative. La massiccia presenza di Svoboda (già Partito nazionalsocialista dell'Ucraina, 10% alle elezioni) e di altre formazioni partitiche di estrema destra, con tre ministri e centinaia tra parlamentari, senatori e funzionari (qui una sintesi di Maria Grazia Bruzzone per La Stampa), fa dell'Ucraina di oggi il primo Stato dichiaratamente nazista dopo il 1945 (qui Michael Chossudovsky per Global Research). Uno stato in cui i simboli del nazismo sono ufficializzati e acclamati e i crimini dei collaborazionisti nazisti e antisemiti come Stepan Bandera sono orwellianamente presentati come esempi di patriottismo (qui Nicolai Lilin su L'Espresso). E soprattutto uno Stato che è nostro amico e alleato, quindi da aiutare, proteggere e rispettare - sforzo in cui più di tutti si distingue nostro Partito Democratico. Al punto che, per non urtare la sensibilità dei nostalgici hitleriani di Kiev, gli Stati europei e nordamericani, il 12 settembre 2014, si rifiutavano di approvare una risoluzione ONU di condanna di ogni forma di glorificazione del nazismo. Nell'indifferenza e nell'ignoranza dei più, l'Occidente cessava così ufficialmente di essere antinazista.

Naturalmente, dove c'è nazismo c'è guerra. Oltre all'esercito regolare, contro i separatisti delle regioni orientali di lingua russa operano battaglioni di militanti apertamente filonazisti, tra cui il famigerato battaglione Azov, responsabile di rapimenti, stupri, torture e assassini di civili nella regione del Donbass (qui un rapporto di Amnesty International), in perfetto stile SS. Come già gli antenati del Reich, anche i nipotini slavi utilizzano la soldataglia irregolare per punire, terrorizzare e fare il "lavoro sporco". Così ad esempio, il 2 maggio 2014, il palazzo dei sindacati di Odessa si è trasformato nel teatro di un pogrom antirusso dove almeno 50 (ma si stima fino a 200) uomini e donne di lingua russa venivano torturati e massacrati dai neonazisti di Pravyi Sektor ("Settore destro", il cui leader è vice Segretario per la Sicurezza Nazionale), quindi finiti dal fuoco appiccato all'edificio. Qualche mese prima Julija Tymošenko, il volto pulito e "moderato" della rivoluzione, aveva suggerito a un collega di sterminare "con una bomba atomica" gli 8 milioni di russi che vivono in Ucraina. Il tutto mentre l'informazione di massa, l'arma più potente in tempo di guerra, si allineava ai canoni della propaganda di guerra nazista negando le sconfitte e i crimini dei governativi e demonizzando ossessivamente il nemico. E non solo nell'Ucraina "liberata dalla tirannide" - dove i dissidenti sono regolarmente imprigionati e torturati - ma anche nei paesi alleati a partire dal nostro - dove invece la servitù dovrebbe ancora essere una libera scelta (qui un commento di Daniele Scalea per l'Huffington Post).

***

È probabile che in un futuro non troppo lontano le migliaia di vittime del genocidio nazista ucraino - il nazismo voluto, acclamato e finanziato dall'Occidente antinazista - riceveranno l'omaggio che meritano. È possibile che nei luoghi dei massacri sorgeranno monumenti, si applicheranno targhe e si terranno cerimonie per non dimenticare la follia di questi anni. Ma ciò non accadrà prima che i sostenitori di questa follia - cioè i governi europeisti e atlantisti e il gregge che li sostiene - saranno sconfitti politicamente o militarmente. Perché, come anche questa storia insegna, l'antifascismo delle masse si applica solo ai perdenti. Non è un progetto di impegno politico né una forma di coscienza storica, ma un modo puerile e conformista per sentirsi migliori e cittadini della parte migliore del mondo dove, come nelle fiabe, i buoni vincono sempre e, quindi, i vincenti sono sempre buoni.

Genocidi e persecuzioni esistono e sono sempre esistiti, prima e dopo la Germania del 1933. Ma almeno quando si ripresentano con le stesse identiche insegne e con la stessa retorica, e a distanza di pochi decenni, tra un pellegrinaggio, una pièce teatrale e un minuto di silenzio per i morti dei lager, li dovremmo saper riconoscere anche solo per riflesso pavloviano. Ciò non sta accadendo. E se non ci ricordiamo più che cosa significa essere alleati di un governo nazista, ricordiamoci almeno come è andata a finire.

 

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