Una risposta sulla Grecia

10 ottobre, 2015 | 5 commenti

Pubblico qui la mia email di risposta a un articolo scritto e inviatomi da persona cara sul rapporto tra Grecia ed Europa. Per ovvie ragioni di proprietà intellettuale non posso condividere l'articolo, di cui seguono gli estremi bibliografici: G. Ravasi, La Grecia nei confronti dell’Europa. Profilo storico di un’ambivalenza di fondo, in Rivista di Studi Politici Internazionali, n. 3/2015, Roma. In estrema sintesi, il testo ripropone la tesi mainstream della colpevole recalcitranza dei greci all'integrazione europea, interpretata alla luce della storia e della cultura del Paese.

Caro Guido,

mi perdonerai la franchezza ma l'articolo che mi hai gentilmente condiviso, e che ho letto con attenzione, mi suscita sdegno e tristezza. La tua breve analisi storico-culturale è una giustificazione delle politiche europee in Grecia e un atto di accusa contro il suo popolo e la sua presunta inadeguatezza etica, politica e intellettuale. Dichiarare apertis verbis la minorità di un'intera nazione su una rivista scientifica rispetto a presunti modelli occidentali più moderni (?) e maturi (??) è - sia pure con il pretesto di sparsi richiami storici e bibliografici - un'operazione molto politica e per nulla culturale. Con le aggravanti che solitamente conseguono in questi casi: il moralismo  ("i greci [chi? quali?] non hanno imparato proprio nulla") e il paternalismo ("[mettere il Paese] nelle condizioni di salvaguardarsi anche e soprattutto da se stesso [!]").

Accetto il fatto che il tuo excursus privilegi la prospettiva culturale rispetto alle technicalities politiche ed economiche. Ma questo non può autorizzarti a stravolgere il quadro di riferimento per far tornare il giudizio di fondo. Leggo ad esempio che "Non è vero che i finanziamenti sono ritornati nelle banche europee come si sente urlare dagli slogan di certi politici". Capisco che l'affermazione avrebbe il doppio vantaggio di castigare i populisti e dimostrare che i greci mentono per non assumersi le proprie responsabilità, ma ciò è oggettivamente falso. La rendicontazione di Yiannis Mouzakis non è mai stata smentita, al più se ne sono date interpretazioni diverse (ad es. se le ricapitalizzazioni delle banche nazionali siano "aiuti interni"). Resta il fatto documentato e incontrovertibile che la quota capitale destinata direttamente al governo - quella finita ça va sans dire a clientele e sprechi - è stata pari al 5% negli ultimi 5 anni.

Strumentale e fuorviante è anche scrivere di "assistenza finanziaria" riferendosi a prestiti a tassi elevatissimi e a uno spostamento dei crediti speculativi dal settore bancario privato all'erario (v. Blanchard). La mostruosa recessione greca è l'effetto di una speculazione finanziaria che parte dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali (quindi l'euro c'entra, anche se lo dicono i populisti), genera debito privato non rimborsabile (uno dei tanti casi di moral hazard - e l'euro c'entra anche qui perché impedisce ai crediti di svalutarsi) e diventa debito pubblico via ricapitalizzazioni pubbliche (e l'euro ri-centra perché impedisce di monetizzare il fabbisogno, rilanciando la spirale dell'indebitamento). Questa dinamica è descritta nel Ciclo di Frenkel che trova conferme puntuali non solo in Grecia ma anche in Argentina, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda, Africa Occidentale ecc. Un conto è non occuparsi di cambio fisso, ben altro è scrivere che chi lo fa "farnetica", quando i suoi effetti distorsivi sono oggetto di una letteratura scientifica unanime e consolidata (e infatti tu citi accuratamente i politici, non gli scienziati).

Ti tedio con questi tecnicismi non per anteporre la prospettiva economica, ma per farti notare che la terzomondializzazione greca segue un percorso riscontrabile ovunque nel mondo si siano affermate le stesse premesse: liberalizzazione dei capitali, aggancio monetario forte e shock sistemico. Con o senza popi bizantini. A Oriente come in Occidente. La minorità antropologica dei greci - casomai esistesse - sarebbe un'invariante rispetto a queste dinamiche. I tassi greci hanno arricchito i creditori senza rischio e, se c'è una stupidità da rinfacciare agli ateniesi, è quella di continuare a sottomettersi a questo gioco.

Ugualmente fuorviante è parlare di mancati "cambiamenti strutturali necessari" (?). Anche qui accetto che tu non entri nel merito, ma non puoi tacere che la Grecia sia stato il Paese europeo che più di tutti si è riformato secondo i desiderata dei suoi tutori. Il dato è dell'OCSE, che ha cercato di sfumarlo perché incompatibile con il messaggio "I greci non riformano" - che è poi lo stesso del tuo articolo. Un messaggio funzionale ma falso, laddove il dato autentico direbbe invece molto sugli effetti in corpore vivo delle riforme che chiede l'Europa.

Infine è del tutto gratuito affermare che la Grecia, più degli altri Stati, avrebbe anteposto i propri interessi nazionali a quelli europei. Basterebbe prendere atto che si tratta di un Paese commissariato dove l'agenda legislativa è dettata dai consulenti esteri con o senza il consenso degli organi sovrani e dell'elettorato: vedi il tragicomico tradimento di Tsipras. L'interesse nazionale, casomai fosse definito, non può oggettivamente avere spazio nella governance greca. Ma se il messaggio è ancora una volta moralistico - "I greci sono miopi ed egoisti" - allora diamo la giusta misura alle cose. La Germania - interlocutore antagonista del governo ellenico, depositaria dei veri (?) valori europei - ha violato sistematicamente i trattati nel proprio interesse e a detrimento di quello altrui: prima sforando il tetto del deficit e il divieto di finanziamento alle imprese per finanziare le riforme Hartz IV poi, una volta ottenuto il vantaggio competitivo, lo ha pompato violando impunita per 8 anni di seguito il limite di squilibrio commerciale estero del 6%. Non si tratta di un dettaglio tecnico ma della dimostrazione di un dumping illecito che colpisce gli altri Stati membri meno competitivi tra cui la stessa Grecia, la cui capacità produttiva è tecnicamente (non moralmente) distrutta in culla. Senza dire del rifiuto di sottoporre le proprie banche a sorveglianza BCE (Deutsche Bank è una metastasi di bad credits) e di socializzare i bilanci, dell'imboscamento del debito pubblico e della sua insostenibilità implicita, della sospensione unilaterale di Schengen e/o Dublino a seconda delle esigenze interne. Queste e altre violazioni sono indice e causa di una gestione personalistica dell'Unione enormemente più gravi delle eventuali e folcloristiche recalcitranze greche. Ma le regole, si sa, le fanno i più forti: e anche la morale.

Non avertene, ma il tuo articolo mi riporta alla retorica settentrionalista nostrana più paludata, dove si vorrebbe certificare l'Untermenschlichkeit del nostro Meridione tirando in ballo i Borboni, il brigantaggio, il latifondo e il familismo amorale di Banfield. O alle tirate di certi think tank sull'arretratezza congenita delle popolazioni su cui sganciamo bombe umanitarie e/o pratichiamo l'usura. È, insomma, il vecchio pattern colonialista dove per limitare il diritto di autodeterminarsi di un popolo e impossessarsi delle sue risorse - non ti sfugga che ai greci si chiedono privatizzazioni, non rivoluzioni culturali (?) - serve dire che non ne è degno, non se lo merita, non è capace: che va salvaguardato "anche e soprattutto da se stesso". Un pattern triste e predatorio che nei tanti e laidi editoriali dei nostri giornali si applica quotidianamente anche all'Italia.

Io non penso, caro Guido, che il compito di un intellettuale sia quello di fornire pezze giustificative alle narrazioni politiche dominanti. Né di fare la morale alle vittime giustificandone ex post la disgrazia. Nè di indorare la strada dei vincenti. Se è vero - ed è vero - che i rappresentanti dei greci non perseguono l'interesse del proprio popolo, è altrettanto vero che perseguono benissimo quello dei propri sedicenti tutori. Mi sarei aspettato di conoscere dalla tua penna i modi e le cause - culturali, finanziarie ma anche geopolitiche - di queste interferenze. Non di scoprire, come scoprirei aprendo un qualsiasi giornaletto, che è colpa dei greci.


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MaX 21 ottobre, 2015 15:38

Ritengo che qualsiasi popolo e individuo, anche laddove la questione possa eventualmente essere davvero sancita incontrovertibilmente, abbia comunque pieno e inalienabile diritto alla propria inferiorità antropologica,come ambito di una estrinsecazione delle possibilità insite nella variegata famiglia umana. Caduto questo assunto, la discriminazione potrà prodursi all'indefinito, essendoci sempre un carattere di confronto su cui pretendere di stabilire il più evoluto dal meno evoluto, il più adatto dal meno adatto, il più degno di sopravvivenza e dominio dal meno degno. I principi silenti che conducono all'eugenetica si basano proprio su questo procedere e già sono stati resi manifesti in altre occasioni storiche: la volontà di potenza o conoscenza concettualmente astratta, o disumanamente limitata e circoscritta, che pretende di "migliorare" questo imperfetto uomo in via coatta, genera aberrazioni morali ed etiche, oltre che fisiologiche, paludandosi sotto le spoglie del progresso e del perfezionamento umano. Questo fraintendimento per l'elitario è terrifico e devastante: compito vero di una possibile élite intellettuale e governativa è invece quello di saper includere e preservare qualsiasi minoranza come patrimonio di variabilità e senza che questo invalidi le possibilità di miglioramento insite nell'individuo, ma impossibili ad essere imposte. Nel modo attuale di operare, invece, si nasconde una insidia subdola e ripugnante: quella di omologare, e con la presunta forza della ragione, a un unico modello in nome d'una accattivante eguaglianza, ch'è piuttosto un orrido "egualitarismo" forzato.

Grazie, anche da parte mia, al Pedante per il Suo impegno e la Sua voce.

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Frank 19 ottobre, 2015 17:57

Apprezzo enormemente l'articolo, per quanto dice e per il contesto che trasparisce chiaramente.

Grazie ancora.

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Lorenzo 18 ottobre, 2015 19:55

Veramente un bell'articolo. Complimenti

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Alberto Traverso 11 ottobre, 2015 12:41

Condivido in toto il suo articolo. La sua è una delle poche voci che vanno davvero contro il sinistro coro che si esprime sui media. Grazie

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tiberio 11 ottobre, 2015 12:04

Ravasi è un membro del Partito Interno orwelliano con il compito di riscrivere la Storia, se non lo dovesse fare finira tra pochi mesi come noi, vaporizzato; che tristezza vedere gli intelletuali piegarsi al bastone del comando

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