Questo articolo è stato pubblicato su La Verità del 3 luglio 2019.
Sono trascorsi poco più di due anni dall’entrata in vigore del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale per l’infanzia. Mentre le forze del governo gialloblù annunciano di volerlo sostituire con una nuova legge dai contorni ancora incerti, alcuni (pochi, in verità) cercano di tirare un bilancio del provvedimento e delle sue conseguenze, non solo normative. Con la più che duplicazione delle vaccinazioni obbligatorie e l’introduzione di sanzioni economiche e sospensioni scolastiche per i piccoli inadempienti, il decreto ha innescato dibattiti e scatenato conflitti sia tra cittadini e istituzioni (specialmente quelle sanitarie, costrette al ruolo di «gendarmi» della salute) sia all’interno di un’opinione pubblica divisa tra i sostenitori di una omnicomprensiva «scienza» e i cosiddetti «novax» destinatari di anatemi e censure. Le sospensioni scolastiche dalle scuole d’infanzia, in certi casi di dubbia legittimità, hanno prodotto emarginazione e disagio nelle famiglie renitenti, il cui numero sembra essere tutt’altro che marginale. Proiettando i dati diffusi da alcune regioni, i minori tra zero e sedici anni non in regola con il calendario vaccinale potrebbero infatti ammontare a 1,2 milioni di unità: il 13% delle coorti interessate. Diventa perciò urgente capire se ne sia valsa la pena e riflettere su quanto sia opportuno insistere nella direzione tracciata.
La premessa d’obbligo è che l’obiettivo della legge, di aumentare l’adesione a dieci – non dodici o sette, né quindici – vaccinazioni per l’infanzia, è un obiettivo di politica sanitaria, esprime cioè una delle tante possibili visioni della salute pubblica e degli strumenti per promuoverla. Ugualmente legittima, purché democraticamente condivisa, sarebbe stata ad esempio la volontà di promuovere altre vaccinazioni, o di riservarne alcune solo ai soggetti più a rischio, o di investire in altre forme di protezione, o altro. Limitando l’analisi agli obiettivi dichiarati del provvedimento, un report della fondazione GIMBE dello scorso marzo ha stimato che tra la coorte 2015 (rilevazione a metà 2018, post Lorenzin) e la coorte 2014 (rilevazione a fine 2016, pre Lorenzin), la copertura vaccinale a 24 mesi è aumentata in media di 2 punti percentuali per l’esavalente, di 7,4 punti per il trivalente morbillo-parotite-rosolia (MPR) e di 12 punti per l’antivaricella, con picchi di incremento in Valle d’Aosta e nella Provincia di Bolzano. L’ISS riferisce che nel 2018 l’esavalente a 24 mesi ha superato il 95% di copertura in 13 regioni su 18 censite (media: 95,46%) e l’MPR in 6 su 18 (media: 94,15%). Si tratta di un risultato mai conseguito in Italia, a cui però non è seguita una apprezzabile ricaduta epidemiologica: se dal 2017 al 2018 sono dimezzati i contagi da morbillo, il numero (2526) è rimasto comunque poco sopra la media degli ultimi dieci anni e poco sotto quella degli ultimi vent’anni.
Più difficile è quantificare le già citate esternalità negative del provvedimento in termini di disagio, conflitto e credibilità delle istituzioni, i cui effetti possono generalmente rispecchiarsi nella fiducia che la popolazione ripone nella profilassi vaccinale. Un’indagine condotta per Eurobarometro nel giugno 2018 – 12 mesi dopo l’entrata in vigore del decreto – evidenziava che nel nostro Paese la vaccine confidence era mediamente cresciuta rispetto al 2015-2016. Allora, per l’85,3% dei nostri connazionali i vaccini erano «sicuri» (media UE: 82,1%). Ma oggi, a meno di un anno di distanza (marzo 2019), ecco la sorpresa: secondo l’ultimo focus Eurobarometro il 32% degli italiani riterrebbe che «i vaccini sovraccaricano e indeboliscono il sistema immunitario» (media UE: 31%) e, addirittura, quasi la metà (46%) che «i vaccini possono spesso produrre gravi effetti collaterali» (media UE: 48%). Quest’ultimo dato sale al 60% in Francia, unico Paese europeo ad avere sinora seguito l’esempio italiano (con 11 vaccinazioni obbligatorie, pena la non ammissione all’asilo... che è obbligatorio!) e insieme ultimo al mondo, secondo una recente indagine Gallup-Wellcome, per fiducia nei vaccini.
Per quanto in parte viziato dalle diverse formulazioni del quesito, il risultato è preoccupante. Se confermato, significherebbe che nel nostro Paese ogni punto percentuale recuperato di adesione all’MPR è «costato» 3,6 punti di fiducia. O che oggi 4 genitori su 10 temono eventi avversi e frequenti quando fanno vaccinare i propri figli. Questo brusco cambio di attitudine rappresenta una sconfitta innanzitutto per chi si era proposto di aumentare la propensione alle vaccinazioni con imponenti campagne di comunicazione a livello globale. Ma è al tempo stesso difficile da non correlare proprio ai toni di quelle campagne e alla collegata tentazione di introdurre obblighi, condizioni e sanzioni che sembra oggi solleticare, con curioso sincronismo, le cancellerie di mezzo mondo.
E sarebbe stupefacente il contrario. Anche tralasciando il problema grave di avere trasformato un diritto e un’opportunità quasi universalmente ben accolta in un dovere a cui subordinare altri diritti, non può non lasciare interdetti il modo repentino con cui il tema è saltato in cima all’agenda di governi e mass media – come se prima del 2017 si vivesse nel medioevo sanitario – a suon di «emergenze» che non ci sono ed «epidemie» di cui non c’è traccia (quella presunta di morbillo del 2017, ad esempio, non è mai stata registrata dall’OMS). Né sembra proporzionato che più di un milione di persone siano improvvisamente diventate «untori» sulle prime pagine dei giornali o «assassini» secondo qualche commentatore, o che tutti i medici si siano dovuti allineare a un messaggio per non essere radiati, come accade solo in casi rari di condotte – non di opinioni! – gravissime. O ancora, sarebbe innaturale non interrogarsi sui motivi di un’ansia promozionale dai contenuti iperbolici come, tra i tanti, quello dei 470 bambini morti di morbillo in Inghilterra nel 2013-2014 secondo l’allora ministro Lorenzin (qui e qui, mentre in quel biennio morì di morbillo una sola persona, ed era un adulto), o la negazione di effetti iatrogeni gravi anche quando riconosciuti e risarciti dallo Stato. Ma soprattutto, il dichiarato intento di tutelare la salute pubblica, anche con la forza, non si concilia con l’ostinato definanziamento di una «sanità pubblica [che], trascurata dalla politica, cade a pezzi» (GIMBE, 4° rapporto) dove si chiudono reparti, le morti evitabili per infezioni nosocomiali raggiungono i settemila casi all’anno e la riduzione degli infermieri pediatrici in alcune corsie farebbe aumentare la mortalità dei piccoli pazienti del 25%. Né del resto ci si preoccupa che le scuole interdette ai bambini sani per timore di ipotetiche epidemie siano per il 40% prive del certificato di collaudo statico e per il 50% di quello di agibilità e prevenzione incendi (fonte: Associazione Presidi), con una media di tre crolli al giorno (fonte: Save the Children), mentre la presenza di amianto in numerose strutture mette a rischio la salute di più di 350.000 studenti (fonte: Osservatorio nazionale amianto). Senza poi dire che per altri determinanti patologici molto più gravi – fumo, alcool, inquinamento, cibo-spazzatura ecc. - vige il più serafico laissez-faire. L’incongruenza macroscopica di mettere queste e altre emergenze in coda al recupero di poche vaccinazioni non può non avere creato confusione e irrigidimento nel pubblico.
Il problema è che la crescente diffidenza verso le politiche vaccinali fa da traino a una più grave
diffidenza verso le istituzioni che le promuovono: governative, certo, ma purtroppo anche
medico-scientifiche. È forte il rischio che queste ultime appaiano ai cittadini come i disciplinati
esecutori di istanze politiche o industriali dai moventi opachi, dando così la stura alla dietrologia. La
posta in gioco, come ha spesso denunciato Ivan Cavicchi, non sono perciò le immunizzazioni verso il morbillo
o altre malattie, ma l’alleanza terapeutica tra medico e paziente su cui si fonda la possibilità stessa
di fare sanità in ogni campo. L’obbligo sanitario, a fronte di progressi epidemiologici finora non
tangibili e con i suoi corollari di discriminazione per i cittadini e di intimidazione per i medici, sta
contribuendo ad aggravare un clima di sospetto che promette di estendersi dalla vaccinazioni a qualsiasi
altro trattamento, con danni incalcolabili e duraturi. Ai politici che oggi si apprestano a «superarlo»
spetta perciò il compito difficile ma cruciale di rimettere ordine nelle priorità della salute affinché essa
torni a essere un diritto, non un’imposizione o un pretesto per togliere altri diritti, e il salvataggio di
un piccolo mattone – i pochi punti percentuali di copertura in più – non reclami il crollo di tutto
l’edificio.
Leave a comment