«Non è bene che l'uomo sia solo»

14 settembre, 2020 | 31 comments

Se il clima culturale di un momento, se la visione di una frazione maggioritaria o egemone fossero un terreno fertile, assisteremmo a un prodigio botanico: che tutti i semi che vi si gettano partorirebbero la stessa pianta. Se fossero uno spartito, gli eventi ne eseguirebbero il tema con ogni timbro, ma sempre fedeli alla parte. C'è una simmetria perfetta tra l'illusione che i fatti plasmino le civiltà e la realtà, che siano invece le civiltà a produrre i fatti e che li digeriscano e li raccontino, li invochino e persino li fabbrichino per vestire le proprie visioni. Che, in breve, gli avvenimenti siano «epocali» se esaudiscono le aspettative di un'epoca.

Ho scritto qui, qui e più in generale anche qui che l'oggetto di questi mesi, una malattia che starebbe cambiando il mondo, è diventata essa stessa il cambiamento, la metafora a cui il mondo si affida per raccontarsi la direzione intrapresa, fingerne la necessità ed evitarsi così lo spavento di smascherarne i pericoli. Con le parole della medicina scrive il proprio mito rifondativo e lo fa in tempo reale, senza cioè darsi il tempo di distinguere l’allegoria dalla cosa.

Il «distanziamento sociale» è insieme uno dei precetti più radicali, apparentemente inediti e rivelatori di questa trasfigurazione sanitaria. L'espressione è in sé già curiosa nel suo proporsi come esempio raro di sineddoche inversa, dove cioè il tutto indica una parte. Se all'atto pratico vi si intende infatti prescrivere una piccola distanza fisica tra le persone per evitare la trasmissione di un un microbo, non è chiaro in che modo debbano perciò risultarne distanziati i rapporti di una società i cui membri già normalmente agiscono tra di loro da luoghi lontani e solo in casi particolari de visu. La licenza retorica sarebbe difficile da spiegare se non, appunto, assumendovi la volontà di portare gli obiettivi di questi provvedimenti dal dominio della fisiologia a quello dell'organizzazione dei rapporti sociali.

Per sgarbugliare l'equivoco va innanzitutto osservato che la prossimità fisica non è una parte o una modalità speciale del relazionarsi, ma ne è la matrice sempre sottesa. Le comunicazioni scritte, telefoniche o via internet alludono sempre all’interezza dei comunicanti e ne riproducono una parte o funzione affinché il destinatario se ne raffiguri la presenza intera completando con l'immaginazione le rappresentazioni mancanti. Così, ad esempio, indoviniamo la mimica dell'interlocutore al telefono, riproduciamo con la mente la cadenza di chi scrive, ci emozioniamo di fronte a persone viste su un monitor, immaginiamo i profumi e le risate del partner in una chat.

L'idea apparentemente moderna che la parte pensata possa invece non solo mantenersi intatta, ma più ancora nobilitarsi se emancipata dal suo sarcofago (σήμα) di carne (σῶμα), fa eco alla ferita platonica che da secoli tenta l'Occidente e si perpetua nella promessa gnostica di un'anima che può e deve scrollarsi di dosso le catene della materialità corrotta. Nella sua declinazione odierna sfocia nei riti della videoconferenza, della didattica a distanza, del lavoro smart e, quindi, nella norma generale del «distanziamento sociale» che si salda in perfetta continuità con l'antecedente precetto della «dematerializzazione». Insieme, muovono spavaldamente guerra al demiurgo Yaldabaoth del mondo sensibile e alla sua ultima effige in ordine di tempo, un virus della polmonite. La parabola tracciata - dal solido all'imponderabile, dal vero all'immaginato, dal visibile all'invisibile - tende alla sua unica meta possibile: la progressiva esautorazione dell'involucro umano e quindi dell'umano tout court, per inseguire il sogno di un'intelligenza pura e libera dalle passioni e dal decadimento delle membra. Nasce da qui, da queste visioni antiche, la fiaba moderna di una «intelligenza artificiale» che pretende di vivere senza e nonostante i suoi creatori.

***

Il fastidio dei singoli corpi produce quello plurale delle masse e da lì, per breve analogia, il fastidio di classe. I poveri si ammassano nelle banlieue e nei tuguri, la classe media negli uffici, sulle spiagge e nei supermercati. Solo i ricchissimi, rari nantes in gurgite vasto, preservano sé stessi e gli altri disperdendosi nella salubre spaziosità delle loro magioni. L'idea ventilata da alcuni governatori, di tradurre con la forza pubblica i positivi al virus in strutture protette, si applicherebbe solo a chi non ha case sufficientemente ampie per metterli in isolamento: cioè agli indigenti. In termini decisamente più espliciti, sul Corriere della Sera del 28 luglio scorso un editorialista rabbrividiva al pensiero delle «turbe (sic) di giovani» che «dalle invivibili periferie, dagli sperduti quartieri dormitori, dalle strade male illuminate che finiscono nel nulla» si riversano nelle vie centrali della movida quasi mossi, nientepopodimeno, che dal «torbido proposito di seminare il contagio, d’infettare la società "per bene" insieme ai posti che essa abita. Di distruggere quanto non possono avere». Come nella fiaba di Fedro, il contagio risale la corrente dagli scantinati agli attici: mai in senso contrario, mai tra gli stessi ottimati. Nelle poche immagini che trapelano dai loro consessi abbiamo visto una Maria Elena Boschi abbracciata agli amici al largo di Ischia senza protezioni, o ancora un ricevimento nella tenuta di un giornalista televisivo i cui illustri ospiti - incluso quello stesso presidente di regione che malediceva gli untori dello spritz - si accalcavano liberi dalla mascherina. Unica, macroscopica eccezione: i camerieri, sui cui volti spiccava come un marchio castale.

Il nesso popolo-massa-malattia si attiva quasi spontaneamente nel richiamare a sé gli stereotipi di pestilenze antiche, baraccopoli da terzo mondo e promiscuità semi-bestiali. Scrivendo del «disprezzo del popolo» (Le mépris du peuple, Éditions Les Liens qui libèrent, 2015) che allignerebbe in modo sempre più scoperto tra i vertici politici contemporanei, il giornalista francese Jack Dion commentava già nel 2015 che «questa democrazia malata ha messo il popolo in quarantena», senza immaginare che di lì a poco lo avrebbe fatto anche letteralmente. Per il politologo canadese Francis Dupuis-Déri, la «paura del popolo» delle élite occidentali (La peur du peuple: Agoraphobie et agoraphilie politiques, Lux, 2016) sarebbe una forma di «agorafobia», cioè precisamente «la paura e il disprezzo del popolo riunito (assemblé)» nell'agorà per coltivare gli interessi comuni. Questa ultima intuizione rivela meglio di ogni altra la progettualità politica che si fa schermo dell'allegoria sanitaria e demateriale.

Sotto qualsiasi regime, la politica è un'attività collettiva perché è collettivo il suo oggetto. Accanto ai collegi istituzionali c'è la libertà dei cittadini semplici di riunirsi e di associarsi (Cost., artt. 17 e 18), una libertà la cui compressione è sempre il segnale di uno sbilanciamento in senso autoritario e di una conflittualità non altrimenti gestibile tra la base e i vertici. Storicamente, l’unione e l'emancipazione dei cittadini meno rappresentati è maturata proprio nei luoghi che si vuole oggi sterilizzare dagli «assembramenti»: le fabbriche, gli uffici, le piazze, i circoli, le università. E la concentrazione dei propri corpi, da (secessio plebis) o verso lo spazio dell'ordine avversario, era l'ultimo strumento di lotta politica per chi non disponeva di eserciti e patrimoni. In un'ottica di controllo sociale è perciò facile applicare all'espediente della dispersione fisica di una cittadinanza scontenta e irrequieta la massima antica del diviser pour régner, tanto più efficace se la si inculca nei destinatari educandoli allo schifo reciproco delle proprie membra pestilenziali. Uno schifo di sé dove a ciascuno è data l’ebbrezza di ergersi aristocratico - se non per censo, almeno per intelligenza e civismo - sulla sottostante marmaglia degli «irresponsabili».

È quasi certo che già oggi una così estrema destrutturazione dell'agglomerato civile non sarebbe tollerabile senza l'anestetico di una relazionalità surrogata e immateriale, come è quella riprodotta dalle moderne tecnologie di comunicazione a distanza. Ciò spiegherebbe, tra l'altro, l'ossessività con cui le si promuove anche là dove non portano evidentemente alcun vantaggio. Perché questa sostituzione, mentre offre con una mano una valvola di sfogo simbolica e mutilata, con l'altra rinforza il dispositivo del controllo fino a renderlo totale. Una piazza in tumulto, un capannello o una riunione a porte chiuse non si spengono con un click. Lo si può invece fare con un sito, un blog, un social network, un account o persino con l'intera rete internet, anzi lo si fa già, esiste già la «grande muraglia di fuoco» cinese che si vorrebbe replicare anche in Europa. In alternativa o in aggiunta si possono censurare, riposizionare o ingigantire i contenuti che viaggiano sulla rete, così da allestire nel virtuale la sceneggiatura di uno spazio pubblico verisimile ma deformabile al bisogno, per orientarne gli attori. In tutti i casi, la reductio ad digitum di ogni singola interazione o condizione - attività, conversazioni, spostamenti, acquisti, redditi, gusti, affetti, voto, salute ecc. - ne archivia ordinatamente i contenuti in un solo vaso per squadernarli alla consultazione di chi controlla le infrastrutture, chiude ogni spiraglio di segretezza e trasforma gli individui in flussi di dati da assoggettare al governo degli algoritmi, cioè di chi li programma. I big data diventano imago hominum e degli uomini promettono di sciogliere il mistero e l'arbitrio riducendoli alla disciplina panoptica di un database e alla trasparenza degli automi. Per (ri)scoprire l'ovvio: che senza libertà non c’è peccato, senza vita non c’è morte.

***

Per quanto gravi, gli effetti di repressione e disgregazione del distanziamento sulla vita sociale - o, se si preferisce, il suo essere funzionale all'accelerazione di questi processi - non è però che il segnale di ricadute più profonde sulla vita interiore e biologica degli individui. Mancano i precedenti storici di società segregate e connesse artificialmente come quella che si vuole sperimentare oggi, ma non gli indizi della loro atrocità. Confermando un caso già descritto nel XIII sec. da Salimbene de Adam, lo psicologo austriaco René Spitz seguì negli anni Cinquanta del secolo scorso un gruppo di neonati di un orfanotrofio che, per quanto adeguatamente nutriti e curati, sviluppavano perdita di peso, letargia e ritardo mentale se privati del contatto fisico affettuoso dei loro tutori. La «fame di contatto» patita dai piccoli orfani era così forte che oltre un terzo di loro finì per morirne entro i due anni (The First Year of Life, 1965). Mentre scrivo, un lettore e direttore sanitario di RSA mi riferisce che durante e dopo il lockdown diversi degenti della sua e di altre strutture avrebbero incominciato a rifiutare il cibo e in alcuni casi a desiderare la morte per la pena di non poter più ricevere le visite dei loro congiunti. Situazioni simili, mi riferiscono i lettori, colpirebbero sempre più frequentemente persone fragili e anziane ricoverate in isolamento negli ospedali.

Questi indizi dovrebbero far squillare un forte allarme quando si legge, ad esempio, che secondo un'ospitatissima veterinaria «nonni e nipoti non potranno stare insieme come prima». O che bisognerebbe abbracciarsi (ma «la cosa più sicura è certamente evitare» di farlo) distogliendo lo sguardo, ad altezza ginocchio o di spalle, trattenendo il respiro (sic) e «niente pianto», come raccomanda uno speciale del Corriere dello scorso luglio. O meglio, chiosa la vicepresidente dell’Associazione nazionale psicologi e psicoterapeuti Giulia Maffioli in un'intervista al Messaggero, «riuscire a sostituire quel segno con altro. Con l’ascolto, con lo sguardo, con la presenza pur a distanza e la parola». O che qualcuno ha portato all'estremo questi consigli vietando a una madre di riabbracciare il proprio figlio dopo mesi di lontananza, e che soprattutto l'autorità pubblica si è prestata all'impresa provvedendo a multare la donna, in applicazione di una legge ormai all'antitesi di quella naturale.

Non si dovrebbero sottovalutare questi indizi - casomai non bastasse la propria, elementare umanità - quando il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti chiede nuovi poteri per allontanare con l'obbligo i soggetti «positivi» dai loro conviventi e rinchiuderli a tempo indeterminato negli «alberghi sanitari». O quando la giunta della Sardegna istituisce due strutture per il ricovero di asintomatici e «guariti» senza spiegare come intenda convincere delle persone perfettamente sane ad abbandonare le proprie famiglie e la propria quotidianità per isolarvisi, e per quanto tempo. O quando si apprende che in Toscana quell'obbligo di internamento è già in vigore con un'ordinanza in cui si saltano a pie' pari le garanzie del già drastico trattamento sanitario obbligatorio della legge Basaglia. Dopo otto secoli di habeas corpus e nell'indifferenza di uno Stato che osa ancora dirsi di diritto, si avvera l'inaudito giuridico della reclusione senza crimine e senza processo, dell'arresto senza convalida e senza difesa e, insieme, si affonda ancora una volta il cuneo del distanziamento nel vivo degli affetti famigliari, nella radice naturale e prestatuale dell'essere in comunità.

I danni cagionati dalla privazione della presenza e del contatto fisico delle persone a sé care sono sì riconosciuti dai fautori del distanziamento, che però, nell'accettarli in nome della prudenza e dell'igiene, incorrono in un pericoloso eufemismo. Se è dimostrato che la sospensione coatta di quelle interazioni per tempi prolungati o comunque indeterminati può arrivare a uccidere i soggetti più fragili, è logico aspettarsi che in chiunque altro produrrà almeno destabilizzazione, traumi e patologie. In un limpido e accorato appello diffuso online da centinaia di psicologi e psichiatri italiani sugli effetti del lockdown si avverte che «l’isolamento è da sempre associato a conseguenze sul piano psichico e somatico che comportano una caduta sulle possibilità di resilienza (fino a disturbi di tipo funzionale) e di corretto funzionamento del sistema immunitario». Perché (grassetto mio)

la natura umana è intrinsecamente relazionale e il nostro cervello si sviluppa solo grazie a relazioni di una certa natura. Le relazioni familiari quanto quelle sociali, per potersi strutturare ed evolvere, hanno bisogno di potersi appoggiare continuativamente ad una presenza fisica e di poter essere vissute con fiducia, e non con sospetto o paura... Instillare nelle persone, e ancora di più nei bambini, il timore di un “nemico invisibile” di cui il prossimo può essere portatore, equivale ad impoverire od annichilire ogni possibilità di crescita, scambio, arricchimento; equivale in sostanza a cancellare ogni possibilità di vita intensa e felice.

I dispositivi elettronici come alternativa obbligata alla relazionalità in presenza non aiutano, anzi. Se da un lato «ogni surrogato tecnologico in tal senso sarà sempre deficitario», dall'altro «è pericoloso cavalcare il periodo contingente per un potenziamento indiscriminato» della tecnologia, che «non può essere associata all’evoluzione dell’individuo e della società; in diversi casi può compromettere infatti le normali capacità cognitive e la regolazione emotiva».

Il distanziamento fisico, diventato anche nel lessico distanziamento sociale, approda al livello infero del distanziamento da sé, dalla propria singolarità in quanto soggetto plasmato dalle relazioni e membro di una specie che si evolve grazie alle relazioni. L'esperimento di normalizzare la scissione dei vincoli materiali dell'isotopo sociale - già così instabile per tanti altri motivi - sortisce gli effetti distruttivi e mortiferi di una detonazione anche letteralmente nucleare, perché scaturisce dal nucleo profondo dell'essere umani in quanto tra gli uomini. Comunque la si pensi sull'infezione che sta spaventando il mondo, lo sbilancio tra il rischio sanitario che può interessare una parte della popolazione e la certezza di infliggere a tutti un danno esistenziale gravissimo o irreparabile, è talmente macroscopico da non meritare una discussione. Senza entrare nel merito dei numeri e dei criteri «assurdi, ma oggi si ragiona così» con cui li si determina, basterebbero le basi dell'insiemistica per affermare che non si può salvare qualcuno condannando tutti.

***

Se in questo programma non c'è dolo, c'è almeno una cecità ben vedente che seleziona con cura i suoi obiettivi. Non deve ad esempio sfuggire che l'intimità fisica non serve solo a condurre «una vita intensa e felice» o una vita tout court, ma ancora prima è la condizione per produrre quella vita in origine, è l'atto che la replica e la perpetua, il confondere le proprie membra per farsi «una sola carne» (Gen 2,24; Mc 10,8) e adempiere al comandamento della creazione: «siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra» (Gen 1,28).

Al pari degli affetti famigliari, di cui è il presupposto generativo, anche la sessualità finisce sotto la lente dello scrutinio igienista. I virologi entrano nelle alcove per ricordare agli amanti che sui loro piaceri privati incombe il dolore di tutti e che al sollazzo deve condirsi un po' di sana paura. A uscire scassato dalle linee guida sul sesso in tempi di Covid, quelle che dalle note del New York City Health Department hanno poi trovato volenterosi megafoni in tutto il mondo, è proprio l'erotismo relazionale e procreativo. Su tutte le opzioni sarebbe infatti da preferirsi la masturbazione: «sei tu - scrivono gli esperti americani - il tuo partner sessuale più sicuro». I più irriducibili possono praticarla in compagnia, purché si attrezzino come in sala operatoria: lavandosi le mani prima e dopo l'atto, restando distanti, coprendosi il volto ed evitando di baciarsi. In alternativa soccorre l'onnipresente rimedio tecnologico, grazie al quale ciascuno può comodamente toccarsi a casa propria, con le mutande calate sotto il tavolo e godendosi l'ectoplasma del partner da dietro uno schermo. Il vizio solitario diventa una virtù pubblica da diffondere sfoggiando l'esempio di coraggiosi pionieri. Come la giornalista Veronica Mazza, che dalle pagine del Cosmopolitan fa sapere di essersi masturbata quotidianamente per un mese, a volte anche controvoglia ma uscendone infine «felice e più stabile mentalmente». E rassicura i lettori: il suo clitoride «è come prima, anzi ora che abbiamo fatto così tanta amicizia, credo che il nostro rapporto sarà sempre più intenso e migliore».

I rapporti di coppia sono ammessi in seconda scelta, ma solo tra persone che già convivono. Se applicata in modo esteso o peggio obbligatorio, la raccomandazione metterebbe sì un freno ai problemi - non solo e non principalmente sanitari - della crapula indiscriminata, ma d'altro canto renderebbe impossibili le sperimentazioni tra gli amanti che si incontreranno per formare una coppia, o tra gli stessi coniugi che convoleranno per la prima volta sotto un tetto comune. Senza nuove coppie non ci sarebbero nuovi concepimenti e gravidanze, né quindi nuove persone. Nel volgere di pochi decenni si arriverebbe all'estinzione per obsolescenza di famiglie e popoli, se non proprio della specie.

In questo passaggio cruciale, dalla sterilizzazione dei patogeni alla sterilità degli ospiti, si assapora più che altrove la rappresentazione sottesa ai paradossi della crociata sanitaria. Qui si vede il rispecchiamento di una civiltà che parla del microbo per parlare di sé, che nella malattia proietta la propria creduta patologia di esistere e di abitare il mondo come una colonia sporca, aggressiva, brulicante e letale. Il virus e i suoi portatori si confondono e si identificano in un processo di traslazione dove il primo perde la sua singolarità biologica ma si rinforza in astratto, come allegoria dei secondi. Non è il virus che si diffonde in modi imprevedibili e angoscianti, ma è l'angosciante imprevedibilità degli uomini che si diffondono, si riproducono e si incontrano senza disciplina. Non è il virus che uccide i corpi per saziare una fame irrazionale di vita, ma è la brama irrazionale degli uomini di vivere, lavorare e godere in modo libero e degno.

Nella maschera-virus sembra insomma rappresentarsi l'uomo caduto che ha «avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto» (Gen 3,10) e nel vergognarsi della propria carne nuda, della propria nuda essenza, la respinge come insopportabile e oscena. Non è perciò il virus da contenere, ma gli uomini: localizzati, imbavagliati, braccati, disinfettati e reclusi, accerchiati da un crescendo di condizioni e divieti che dal quotidiano si sono spinti nel tabernacolo del senso, dell'accudimento reciproco e della generazione delle loro vite. Fino cioè all'eradicazione, al compimento estremo della metafora virale. Tolto ogni travestimento, è forse questo rigetto di esistere e questa inversione microbiomorfa del nostro essere fatti a somiglianza del Cielo (Gen 1,26), o anche più laicamente degni di abitare la terra senza attentare alle leggi della nostra natura, la patologia di cui ci dovremmo occupare.


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Lenny Reddy 10 ottobre, 2020 18:16

Il vecchio Malthus gode come non mai. Aver piantato un cuneo velenoso nel fulcro vitale degli esseri umani, la socialità non surrogata dalla tecnologia, è molto più efficiente ed efficace delle guerre e delle carestie.

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Danilo 17 settembre, 2020 11:23

A margine del mio precedente messaggio, offro una possibile chiave interpretativa goethiana del corrente flusso di eventi, invero straordinari, in corso.

Ich bin ein Teil von jener Kraft,

Die stets das Böse will und stets das Gute schafft.

Saluti

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Danilo 17 settembre, 2020 11:16

Forze oscure, regia di questa macabra messinscena allucinatoria condita di potente ritualità magica, sono in grande allarme.

Questa è la buona novella.

Addestramento psichico antropologico per rendere fit un'intera popolazione su scala mondiale a una digitalizzazione schiavizzante iper accelerata e feroce, le cui tecnologie sono già pronte a essere introdotte, è ciò che sta andando in atto.

Ma i tempi e le modalità di una simile operazione puzzano a distanza di allarmata risposta emergenziale; non sono questi gli abituali modi di agire di queste forze, a cui un simil procedere anzi nuoce.

Questo è esattamente il nostro spazio, il nostro oro.

Mettere le nostre migliori forze di intelligenza, volontà, pensiero e sentimento dove ci troviamo, con grande serenità e operatività amorevole e fattiva.

Sviluppare in orizzontale e nel piccolo, ma con grande qualità, i nostri rapporti e relazioni per opporci creativamente e vanificare la verticalizzazione accelerata in corso, il cui obiettivo ultimo è la psiche o anima di ciascuno di noi.

Perché farebbero tutto ciò?

Per i soldi o per il controllo? Anche, ma solo come step intermedi funzionali e tattici, giammai come obiettivi ultimi. Crederlo sarebbe alquanto immaturo. Devono nutrire antichissime e oscure eggregore, ma questa non è la sede.

Grazie

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Peppe 15 settembre, 2020 16:41

L’obiettivo è creare Matrix: chiudere gli umani in delle capsule e collegare i loro cervelli ad una neuro-simulazione interattiva. Tuttavia, la trilogia di Matrix ci insegna che anche un mondo del genere non è perfetto, non è sicuro e rimane vulnerabile ai virus.

Alla fine del primo Matrix, il protagonista modifica la programmazione dell’agente Smith, trasformandolo in un virus informatico.

Nel secondo Matrix, il virus Smith si duplica ed infetta tutto il sistema.

Nel terzo Matrix, il protagonista si accorda per la disattivazione del virus Smith in cambio della cessazione delle ostilità.

La differenza fra il sig. Anderson e gli Eletti che lo hanno preceduto è che lui ha infettato il sistema con un virus ed è il solo a possedere la chiave per disattivarlo: il sistema è la malattia mentre il virus è la cura che lo spinge a cambiare.

Nel primo film, l’agente Smith afferma la necessità di Matrix per regolare la riproduzione umana: per il malthusiano agente Smith l’umanità è un virus che si moltiplica, consuma tutte le risorse di un territorio e poi infetta un nuovo territorio.

Nel secondo film, l’agente Smith è ormai un virus informatico che si moltiplica e infetta tutto il sistema.

Alla fine del terzo film, l’Architetto decide di allentare le norme sul distanziamento sociale, conscio del fatto che le restrizioni eccessive rischiano di distruggere tutto il sistema.

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disperato 15 settembre, 2020 15:54

I politici attualmente in Parlamento, di tutti gli schieramenti, sono d'accordo per il lockdown (che in italiano si traduce in arresti domiciliari) per una falsa pandemia, qualcuno per malafede, altri per paura, altri ancora per incomprensione, ma sono tutti d'accordo.

Quindi vanno mandati a casa e sostituiti.

Suggerisco di votare il movimento 3V (vogliamo la verità sui vaccini).

E di votare NO al referendum (se i piddini e i 5stelle e i giornalisti tv propongono qualcosa fare l'opposto è senz'altro la cosa giusta).

Quanto a una lettura razionale di ciò che sta accadendo: le élite, di cui i politici sono solo i maggiordomi, vogliono ridurre la popolazione del 90% e passare da 8 miliardi a 500 milioni, questo è quello che intendono quando parlano di decrescita felice.

Se vogliamo fermarli dobbiamo sostituire i loro maggiordomi-politici con persone oneste e capaci, per questo bisogna votare e farlo bene, in massa.

Saluti.

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mauke mirras 16 settembre, 2020 10:15

Gentile @disperato, temo però che si debba tener presente, oltre alle buone intenzioni di chi cerca di entrare nel sistema per cambiarlo, anche il processo di cooptazione da parte dell'oligarchia. Oligarchia che, covandole in seno, diffondendole all'esterno e incapsulandole in proposte politiche, favorisce le pulsioni alla disgregazione sociale e spirituale immanenti in tutte le formazioni attualmente in Parlamento, sia delle "buone" che delle "cattive", e ci si può attendere che l'amore per la dissoluzione da parte delle élite non cesserà nei prossimi cinque o dieci anni. Anzi.

La massa non può formarsi, perché s'insiste sul conflitto sezionale.

La critica al sistema è costantemente respinta all'interno del sistema, e quindi non può toccar palla alcuna, tantomeno fermarsi un attimo e riflettere su quanto senso abbia giocare a palla (e nel caso, con che testura, peso o dimensione) oppure a mosca cieca.

La riduzione della popolazione si può fare in molti modi: il migliore è quello di convincere la popolazione ad autoridursi, e quindi convincere la popolazione a convincere la popolazione ad autoridursi. Vaccini, droni e microchip sono metafore. Riconoscibili e che quindi attirano la rabbia. Ben più subdolo e difficile da estirpare è il messaggio dell'oligarchia, che predilige armi poco costose: periodici, comizi, libri, dibattiti in modulazione di frequenza.

"Che fare?" La virocrazia sta riaccorpando il tessuto familiare e interfamiliare, in modo speculare a quanto essa consuma e distrugge le istituzioni che infiltra e snatura.

Buona giornata a tutti.

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disperato 16 settembre, 2020 15:19

Gentile @mauke mirras, i vaccini non sono metafore, sono veleni. Specie quello che vogliono sperimentare in Italia e che ci trasformerebbe in organismi geneticamente modificati.

I vaccini non hanno mai salvato nessuno (come si può facilmente notare guardando ai grafici ufficiali di mortalità per malattie infettive prima e dopo l'introduzione dell'obbligo vaccinale, dove si vede che la curva non cambia pendenza) e hanno ucciso e danneggiato molta gente (vi sono anche svariate sentenze dei tribunali, che rappresentano la punta dell'iceberg).

Perciò io rifiuto di vaccinarmi e voto movimento 3V, e invito tutti a fare lo stesso.

Saluti.

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Patti 15 settembre, 2020 07:07

Non praevalebunt

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roxgiuse 05 settembre, 2020 19:39

"promessa gnostica di un'anima che può e deve scrollarsi di dosso le catene della materialità corrotta". Non sarebbe male sviluppare questa chiave di lettura degli accadimenti; dopo Nag Hammadi è molto più semplice capire l'origine dell'attacco al diritto naturale, alla società, alla famiglia. Un filo conduttore tracciato dal Pedante renderebbe organico e chiaro ciò che ora è, per me almeno, frammentario e magmatico.

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Antonia 04 settembre, 2020 09:17

Eccezionale come logica, storicità analisi.Esteticamente stupendo

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Peppe 03 settembre, 2020 18:57

“Divide et impera” è una locuzione latina secondo la quale il migliore espediente di una tirannide per controllare e governare un popolo è dividerlo e fomentare discordie.

L’obbligo di indossare la mascherina fomenta discordie: ho visto persone umiliare pesantemente i propri concittadini sprovvisti di mascherina.

Il distanziamento sociale è una forma di “divide”, il cui scopo dichiarato però non è “l’impera” ma il nostro bene.

La frase “lo faccio per il tuo bene” richiama gli scenari della prima infanzia ed ha senso se detta ad un bambino in età prescolare, mentre nei confronti di un adulto è ipocrisia: è il discorso del prepotente che finge di essere buono. Il tiranno vuole sempre apparire come un personaggio positivo e dopo ogni prepotenza afferma di aver agito “per il tuo bene”.

Chi formula una critica, sulle modalità con le quali è stata affrontata la pandemia, o sulle restrizioni alle libertà personali imposte ai cittadini, viene sbrigativamente bollato come “negazionista del covid”

Originariamente, il termine “negazionista” era riferito ad un gruppo di persone ben preciso: a chi negava la shoah. Recentemente, il termine “negazionista” è stato esteso ad altri ambiti: si sente parlare di negazionisti del covid, di negazionisti del cambiamento climatico ecc. Perché è stato esteso l’ambito di applicazione di questa parola? Se nel corso di un dibattito si usa la parola “negazionista”, si richiama alla memoria delle persone un periodo storico ben preciso e molto doloroso.

Dare del “negazionista” è un modo furbo, e non suscettibile di querela, per associare la mentalità del proprio interlocutore a quella nazista: si insinua che il modo di ragionare del proprio avversario ha delle somiglianze col modo di ragionare dei nazisti.

Se un giornalista definisce “nazista” il proprio interlocutore, il giornalista può essere querelato.

Se invece un giornalista definisce “negazionista” il proprio interlocutore, ottiene lo stesso effetto discriminatorio che otterrebbe dandogli del nazista, al riparo però dall'essere perseguito per vie legali.

È l’espediente retorico dell’argumentum ad hominem: si attacca la persona per non entrare nel merito delle sue opinioni.

Un altro termine usato spesso dai media e che merita un approfondimento è il termine “complottista”.

Dare del “complottista” è un modo furbo, e non suscettibile di querela, per dare del malato di mente.

Dare del “complottista” al proprio interlocutore, significa insinuare che le sue opinioni sono frutto di ossessioni, di fobie e di paranoie e che quindi non meritano l’attenzione delle persone sane di mente.

Se un giornalista definisce “pazzo” il proprio interlocutore, il giornalista può essere querelato.

Se invece un giornalista definisce “complottista” il proprio interlocutore, ottiene lo stesso effetto discriminatorio che otterrebbe dandogli del pazzo, al riparo però dall'essere perseguito per vie legali.

Oggi si usano i termini “complottista” e “negazionista” in luogo di pazzo e nazista.

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disperato 03 settembre, 2020 20:57

Gentile @Peppe, quello che dice è molto giusto, anche se forse l'idea che una querela contro chi dà a vanvera del negazionista sia inutile non è del tutto corretta. Certo se ti danno del nazista è molto più facile ottenere giustizia in tribunale per calunnia, ma negazionista in italiano significa proprio nazista quindi un giudice potrebbe anche condannare il diffamatore, almeno così a me pare.

Saluti

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Ago 02 settembre, 2020 17:05

Io mi definisco così: pensante, resiliente, stoico. E, per fortuna, con un piede nella fossa.

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nerdcapuano 02 settembre, 2020 13:20

Dobbiamo quindi rassegnarci a questo regime totalitario ? Io non credo riuscirei a discutere con chiunque sia convinto di vivere in una emergenza sanitaria, quindi bisogna scegliere tra il mantenere le proprie posizioni e alienarsi amici e parenti o tacere e sperare che succeda qualcosa che svegli le persone da questo stato di ipnosi.

Voi cosa avete scelto ?

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Ago 02 settembre, 2020 17:08

Gentile @nerdcapuano, l'importante è riuscire a vivere bene con sè stessi. La mia ricetta personale è: essere pensanti, resilienti, stoici. E se vecchi e con un piede nella fossa, meglio. Si avrà meno tempo da soffrire.

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Mario M 03 settembre, 2020 10:01

Gentile @nerdcapuano, tutto dipende dai modi con cui si discute.

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nerdcapuano 03 settembre, 2020 16:04

Gentile @Ago,

e quelli che non hanno ancora il piede e nella fossa e gran parte della vita davanti ?

Cosa dovrebbero fare ?

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Ago 06 settembre, 2020 13:58

Gentile @nerdcapuano, REAGIRE! Naturalmente! Spendersi per cambiare lo stato delle cose. Ed è quello che farei anch'io, se vedessi che chi ha la tutta vita davanti a se lo facesse. Invece non ne vedo... Forse è colpa mia? Sono cieco? O è cosi.

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Aquilano 13 settembre, 2020 21:20

Gentile @nerdcapuano, è meglio lavorare per chi non ti paga che parlare con chi non ti capisce.

Non possiamo cambiare il mondo, cioè ritengo le nostre azioni e i nostri comportamenti assolutamente ininfluenti, al contrario di quelli di gente come il pedante, pur sempre ininfluenti ma comunque utili.

Per circoscrivere il ragionamento diciamo che non sono io ad inimicarmi pidioti e 5scemi, quanto piuttosto loro ad inimicarsi me. Fatto è che i9 non li sopporto più, non posso più sopportare imbecilli, dementi, nani, ballerine e prostitute intellettuali (ciao “avvocati”...) che mi spiegano che i clandestini (loro li chiamano migranti) mi contino di mangiare pomodoro o che il contante va eliminato per eliminare evasione e corruzione.

Ora, diamo a Cesare quel che è di Cesare, questi sono dementi, disturbati mentali, imbecilli irrecuperabili. E quindi perché parlarci.

Fuor di metafora, questi sono i nostri nemici, i nemici dei nostri figli e delle nostre famiglie, la minaccia più grande per il nostro futuro.

Quindi non ci si deve discutere e neppure parlare. Vanno tenuti a distanza. Vanno ghettizzati. Ricordatevi le loro facce e i loro nomi. E proseguite nella nostra strada verso la liberazione dal cancro del liberismo.

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Dante Preve 01 settembre, 2020 17:20

Questo post è un balsamo.

Sinceramente, con me hanno vinto: sono angosciato, frustrato, arrabbiato.

Non vivo bene, incertezza per il futuro.

La scuola completamente distrutta.

È un tunnel senza luce.

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Rick Deckard 07 settembre, 2020 16:37

Gentile @Dante Preve ,

siamo in tanti angosciati, frustrati, arrabbiati.

Ho tre figli e tutto il mio terrore e la mia nausea sono dovuti al pensiero del "Fu Turo" che gli stanno apparecchiando.

E la luce che si vede in fondo al tunnel siamo noi che scaviamo.

Che fare?

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mauke mirras 16 settembre, 2020 11:19

Gentile @Rick Deckard, lathe biosas. Oppure il contrario.

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Passavodiqua 31 agosto, 2020 16:32

Vado in una birreria de sinstra e leggo .

Discuto con i parenti e dicono che il contante va abolito e si deve pagare con l'impronta. Una di loro è laureata in economia.

Vado in posta ad aprire un conto e mi dicono di scaricare l'app: io però voglio comprarmi un cellulare non smart e non voglio l'app ma non si può. E se io non volessi?

Vado a camminare con mio cugino e ogni trenta secondi allunga il braccio per allontanarmi.

La nonna della mia ragazza è stata solo per il lockdown: una donna perfettamente sana di mente e corpo prima ora è a letto incattivita e non riconosce più i parenti o li allontana.

Ho il pizzetto e al centro commerciale (semivuoto) oso togliermi la mascherina per grattarmi il baffo. Una guardia mi urla in tono marziale di rimettermela subito. Non avevo gente a meno di quattro metri accanto.

Infermieri pagati forse 1500 al mese se la prendono con il popolino invece che con chi ha distrutto il SSN: questi sono peggio di zio tom.

Agli italiani hanno toccato perfino il calcio e non hanno fatto nulla.

I vecchi urlano ai giovanidimerda di non andare a divertirsi giovani che gridano al 55enne che non si è messo la mascherina ok boomer come droni senza sale in zucca: loro sono stati a casa e hanno fatti i bravi bimbi, poi chissà cos'è quel vuoto esistenziale acuito dalla solitudine.

Ho letto u n ommento di un giovanotto che se la prendeva con chi non usava la mascherina . Poi magari il 25/4 va in piazza.

Dovevo sfogarmi.

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Passavodiqua 31 agosto, 2020 18:41

Sul cartello c'era scritto di non usare il contante ma la carta che è più sicura control il contagio.

Voglio piangere

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Il Pedante 31 agosto, 2020 19:06

Ho trattato il tema su un altro sito: evasione-cash-autopsia-di-un-mito.

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disperato 08 settembre, 2020 16:06

Eccellenza, Le segnalo, se per caso non lo avesse già visto, l'articolo di Blondet, perché le catene si stringono sempre più, e sinceramente non vedo tra la popolazione una grande consapevolezza e meno ancora volontà di reagire. Spero di sbagliarmi, comunque a giorni si vota il referendum e le regionali, per cui presto potremo volenti o nolenti contarci, e sapere quanti hanno capito e vogliono la libertà (e voteranno No e nessun partito di quelli favorevoli al lockdown con tutte le sue conseguenze) e quanti non intendono o peggio amano le loro catene. https://www.maurizioblondet.it/conte-abolisce-il-contante-veicola-il-contagio/

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Ned 31 agosto, 2020 08:44

Stamattina scorrevo un po' di titoli dei giornali, insieme a qualche riga di contenuto e, ohibo! arrivato a quel fogliaccio di ultra destra di Atlantic e dopo averne letto qualche passaggio mi sovviene il ricordo di quanto letto la sera prima sul blog del Pedante. Convergenze parallele? https://www.theatlantic.com/international/archive/2020/08/pandemic-protest-double-standard-authoritarianism/615622/

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Ned 31 agosto, 2020 08:19

Ohibo! Stamattina, nell'Edicola di Rai news, stralci dell'articolo di Bernard Henry Levy sugli effetti nefasti del distanziamento da Covid. E mi ha fatto tornare in mente le parole del post del Pedante letto la sera prima. Convergenze parallele? Con Bernard? Ohibo!

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Mario M 30 agosto, 2020 09:19

Due film, due metadocumentari del compositore Philip Glass e del regista Godfrey Reggio hanno rappresentato questo tipo di società senza umanità, liquefatta in tecnologia:

Naqoyqatsi , "vita in cui ci si uccide a vicenda" , e Visitors.

Nel corso di una conferenza sul secondo film, il regista annunciava la morte della morte nella società attuale, in linea con la chiusa del nostro "senza vita non c'è morte".

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Sogno 30 agosto, 2020 08:19

L'articolo apre a riflessioni profonde e interessanti. Purtroppo, è la stessa classe di intellettuali che ha lavorato, negli ultimi decenni, in occidente, prima a delegittimare la democrazia poi a rendere pericolosa la stessa rappresentenza popolare. Ora si sta pianificando il pensiero unico orwelliano. Temo che ci riusciranno!

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disperato 02 settembre, 2020 15:55

Gentile @Sogno, gli intellettuali non sono quelli che vanno in tv o scrivono sui giornali, anzi il fatto stesso che uno sia chiamato in tv o scriva su un quotidiano nazionale è la prova che sia un prezzolato di regime e nulla più, e quindi ascoltarlo è nella migliore delle ipotesi tempo perso.

In quanto all'occidente la realtà è variegata, l'Italia purtroppo si è dimostrata abitata dal popolo più stupido della Terra, ritengo che ciò sia dovuto all'euro (cioè al cambio fisso con la Germania) che ha distrutto la nostra industria e indotto a scappare all'estero milioni di concittadini, i più intelligenti, e qui è rimasta quasi solo la feccia.

Ma in Svizzera, Germania, Inghilterra la situazione è molto diversa. Ad esempio a Berlino vi è stata una manifestazione oceanica con milioni di persone (milioni, checché ne dica la tv) per protestare contro il lockdown e il distanziamento che sono misure inutili e controproducenti (particolarmente interessante il discorso di Robert kennedy JR, per un commento segnalo https://www.youtube.com/watch?v=29WCLT53RAE). E anche a Londra hanno manifestato.

Suppongo che sia lecito disperare per il nostro paese, ma altrove è diverso.

Inoltre invito a votare no al referendum sul numero dei parlamentari, cioè penso sia bene mantenere lo status quo, sia per esigenze democratiche sia nella speranza di far cadere il governo, davvero il peggiore della nostra storia.

E invito a votare per i 3V o per Motore Italia dell'ing.Carlo Negri. Soprattutto invito a non disertare le urne per non lasciare campo libero a Pd e 5stelle (la nostra unica speranza passa dalla cancellazione di queste due forze politiche, condizione necessaria benché non sufficiente per la nostra salvezza).

Saluti.

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