Sempre a proposito dei commenti al recente esito referendario inglese da cui trae ispirazione la presente serie di articoli (qui, qui e qui i capitoli precedenti), ci piace soffermarci brevemente in questa quarta puntata sulle esternazioni di due schietti esemplari di ciò che va oggi sotto il nome di sinistra: lo scrittore Roberto Saviano e Francesca Barracciu, sottosegretario ed europarlamentare del Partito Democratico.
Il primo ci regalava, il 24 giugno, un articolo dal titolo "Brexit: ha vinto il popolo":
Me lo ricordo il Popolo, nel 1938, acclamare Hitler e Mussolini a Roma affacciati insieme al balcone di Piazza Venezia. Me lo ricordo il Popolo inebriato, esaltato, per la dichiarazione di guerra. Me lo ricordo il Popolo asservito, quasi isterico, al cospetto di ogni malfattore che abbia condotto l'Europa sull'orlo baratro.
Me lo ricordo poi il Popolo che plaudiva quando al confino nel 1941 veniva mandato Altiero Spinelli, perché antifascista. A Ventotene, Spinelli, detenuto insieme a Ernesto Rossi e a Eugenio Colorni scrisse "Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto". Quindi, a ben vedere, siamo sicuri che oggi il Popolo abbia vinto davvero?
La seconda affidava le sue riflessioni ai social network e a un'immagine di repertorio:
A dar man forte ai due interveniva negli stessi giorni anche Nathania Zevi, giornalista la cui famiglia vanta esponenti illustri nella storia dell'ebraismo, del socialismo e dell'antifascismo italiani:
Ma prima ancora di loro, sulla "assurdità" del credo democratico e sui gravi pericoli a cui ci si espone
dando voce alla maggioranza si era espresso un altro intellettuale di sinistra, che osservava:
Voi sapete che non adoro la nuova divinità: la massa. Soltanto perché sono molti debbono avere ragione? Niente affatto. Si verifica spesso l'opposto, cioè che il numero è contrario alla ragione. In ogni caso la storia dimostra che sempre delle minoranze, esigue da principio, hanno prodotto profondi sconvolgimenti nelle società umane.
E ancora, anticipando l'iconografia di Philippe Daverio:
Sopra undici milioni di elettori, sei soli vanno a votare e spesso per ragioni alcooliche e pecuniarie.
L'intellettuale in questione dirigeva il più importante giornale di sinistra del suo tempo e di lì a poco
avrebbe fondato un partito, nel cui Dizionario di Politica ritroviamo meglio esposte le idee già sue
e poi riproposte da Zevi, Barraciu, Saviano e da intere redazioni e segreterie politiche odierne:
[L'idea di popolo] è stata travisata del tutto. Le nobili parole con le quali Cicerone definì il popolo nel De Republica sono state dimenticate dagli araldi della democrazia. Per essi popolo non è più un concetto politico, l'unità ideale di tutti coloro che compongono una nazione, uno stato, ma è una quantità bruta, è la folla delle piazze, la massa incomposta che si trascina demagogicamente alle urne. [...] Cotesta specie di popolo è stata idolatrata ed incensata spesso a soli scopi elettorali. [...] Si tratta, nella pratica, spesso di masse di politicanti o di esaltati, che nulla hanno a che vedere col popolo vero. La democrazia ha lusingato, adulato queste masse. Ma può da esse venir davvero una indicazione, una espressione di volontà politica? Non occorre aprir le pagine dei psicologi della politica per apprendere a quali suggestioni, a quali istinti ubbidiscono quelle masse.
Quell'intellettuale si chiamava Benito Mussolini. Le prime due citazioni sono rispettivamente del 1922 (Discorso di Udine) e del 1921 (Discorso al Teatro Augusteo), anni in cui la democrazia parlamentare in Italia sopravviveva tra lo scontento dei più, incapace di far fronte alla crisi economica, alle tensioni sociali e alla umiliazione internazionale dei patti postbellici. Anni, insomma, pericolosamente simili ai nostri.
Come i nostri e i tanti altri sostenitori della democrazia dei migliori, anche Benito era un democratico.
Nel senso che auspicava una democrazia "vera" espressione di un popolo "vero":
E perciò il fascismo è contro la democrazia che ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più; ma è la forma più schietta di democrazia se il popolo è concepito, come dev’essere, qualitativamente e non quantitativamente, come l’idea più potente perché più morale, più coerente, più vera... (B. Mussolini, Dottrina del Fascismo, 1932).
L'unica, non irrilevante, differenza tra il fascista democratico di ieri e i democratici di oggi è che il primo non si era mai sognato di fondare la propria visione politica in antitesi a un'ideologia del passato per poi ripeterne le enunciazioni. I secondi, invece, si dicono antifascisti.
Chi scrive è convinto che l'antifascismo sia degenerato in una sciagura culturale dei nostri tempi.
Da valore fondativo della Costituzione repubblicana è diventato lo slogan di chi la vuole stravolgere in
senso autoritario: cioè fascista. Nel trasformare un evento storico in un simbolo di appartenenza ne ha resa
impossibile, perché superflua, la comprensione delle cause e delle prerogative. E nel fornire alle masse un cadavere contro
cui accanirsi le ha distratte dai crimini dei vivi. Se l'antifascismo è un cartellino di cui fregiarsi
come un abito firmato, l'eredità del fascismo può allora impunemente risorgere sotto un'altra etichetta.
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