Le groupies #NoBorders e il senso delle nazioni

12 maggio, 2016 | 24 comments

Con questa pedanteria si chiude una trilogia sul collaborazionismo delle sinistre nell'avanzata delle oligarchie usurocratiche in Europa. Nelle puntate precedenti si è definita una fenomenologia generale e una breve analisi della transizione da no-global a no-borders. Nel seguito si propone una riflessione sui temi delle nazioni e del patriottismo, oggetto del fuoco complice e incrociato delle élites finanziarie globali e di un internazionalismo di sinistra a-storico e rigidamente ideale.

***


Per quanto indubbiamente opere dell'uomo, le nazioni e i confini sono retaggi consegnatici dai millenni: come l'orografia, il clima, gli oceani. Esistono, esistevano da molto prima che nascessimo, e noi stessi ne siamo anche fisicamente il prodotto. Salvo rare eccezioni, essi nascono e si dissolvono nel sangue, il che è già un primo, ottimo motivo per lasciarli lì dove stanno e non crearne di nuovi rincorrendo ogni volta sogni che, dacché esiste l'umanità, distruggono vite e civiltà al grido di #questavoltaèdiverso.

Al netto della storia e della sua violenza, le nazioni sono anche giurisdizioni, cioè spazi delimitati - come lo è ogni cosa per esistere - in cui si applicano le politiche di una comunità e se ne impone il rispetto. Sicché le nazioni sono il luogo della politica. A chi da sinistra schifa le categorie nazionali è fin troppo facile portare l'esempio dei governi socialisti, tutti immancabilmente patriottici e pronti a difendere con le armi la propria autodeterminazione: URSS, Cina, Vietnam, Cuba, Venezuela ecc. E non potrebbe essere altrimenti. Quando un'idea politica si cala nella realtà deve attecchire in uno spazio fisico che va tutelato con l'esercizio della sovranità. Così il socialistissimo Venezuela di Maduro, che l'anno scorso indirizzava al governo golpista di Obama una canzone da far piangere sangue agli internazionalisti de noantri:

Viva Venezuela mi patria querida
quien la libertó mi hermano
fue Simón Bolívar.

Para defender la patria
Nos hace fuertes la unión
somos una misma sangre
con un solo corazón
.

Cabalgaremos los sueños
De construir una patria
Que sea libre y soberana
[ovvove!]
...

Per concludere così:

Viva Venezuela libre
Viva mi patria querida
Viva la paz de los pueblos
Viva la América unida

Evidentemente, per i socialisti venezuelani l'aspirazione a una "patria libre e soberana" e l'omaggio patriottico ai suoi liberatori non contraddice né ostacola il cammino verso la "paz de los pueblos" e la "América unida". Per un motivo che dovrebbe essere ovvio: un progetto politico va coltivato e difeso prima di essere eventualmente offerto al mondo. In questo senso la nazione è celebrata non solo e non tanto in sé, ma in quanto incubatrice e roccaforte di una visione politica che senza di essa vivrebbe solo nell'immaginario e nei discorsi dei rivoluzionari da bar.

In Italia non vige il socialismo reale, ma la democrazia: che non è un'idea né un'inclinazione morale dei suoi cittadini, ma la norma prescritta da una Costituzione che si applica al'interno dei confini nazionali. Sicché è facile intuire perché chi mal sopporta la democrazia costituzionale predichi a un tempo il superamento della nazione e la cessione della sua sovranità.

Interrogarsi sul vettore storico e non sui contenuti è il modo migliore per farsi rifilare qualsiasi sbobba purché corredata dai simboli a sé cari. Tra i primi provvedimenti adottati da Thomas Sankara, che pure era socialista e panafricanista convintissimo, vi furono severe misure protezionistiche per assicurare l'autosufficienza alimentare al proprio paese. Non era un ideale, ma uno strumento urgente per salvare milioni di vite. Forse oggi qualche intellettuale da circolo avrebbe suggerito all'eroe africano di lasciare il suo popolo nella fame per non tradire i doveri dell'internazionalismo, in attesa di un'Africa unita sotto la stella rossa. Nel qual caso probabilmente Thomas sarebbe ancora tra noi e, una volta all'anno, volerebbe a Cernobbio al seguito del più giovane Varoufakis per deliziare la platea con la scimmietta di una rivoluzione romantica e senza rischi.

Proteggere una giurisdizione da merci, prassi commerciali e flussi migratori non è una forma di governo né una filosofia, ma un normale atto di amministrazione. Ciò che andrebbe valutato, e giudicato, sono le politiche che in tal modo si intende difendere e quelle da cui ci si intende difendere.

Nelle esperienze qui citate appare anche una tensione patriottica da cui trarre un insegnamento: che cioè il patriottismo ha in sé anche una dimensione a-simbolica e funzionale che nulla ha a che vedere con la volontà di aggredire, sottomettere o disprezzare gli eteroctoni. L'amore per la propria nazione, regione o comunità è all'origine una forma di amore di prossimità antropologicamente affine all'amore famigliare, con l'utile e legittimo fine di valorizzare ciò che si è e che si ha. Voler bene ai propri figli, fratelli, coniugi e genitori non significa approvarne incondizionatamente gli atti, né idolatrarli, né tantomeno odiare il resto dell'umanità. Anzi, è il contrario: a chi non sa amare i propri figli non è saggio affidare i figli altrui. E a chi non sa amare la propria comunità non è saggio affidare il mondo.

Che esistano una, cento o mille nazioni è in teoria del tutto indifferente. Nella pratica è invece prudente tenercele strette: non solo per non smuovere le polveri delle guerre civili, ma soprattutto perché quel poco o tanto che le masse hanno conquistato è appeso agli ordinamenti nazionali, non a un iperuranio che ce lo conserverà per un improbabile e venturo impero dei giusti. Non sono i confini a condannare i disperati del mondo, ma le politiche di coloro che vogliono abolire i confini per fare della disperazione la norma. Cioè degli stessi che da tempo preparano e consolidano le fondamenta di un governo dai confini sempre più ampi, a tendere verso il sogno (per pochi) o l'incubo (per tutti) di governi continentali se non addirittura di un governo mondiale in cui il dominio dei pochissimi avrebbe la meglio sulle resistenze politiche e costituzionali maturate - che piaccia o meno - all'interno delle esperienze nazionali.

Non c'è motivo per credere che la riduzione del mondo a pochi superstati - non a caso, come aveva immaginato Orwell - segnerebbe la fine dei nazionalismi fanatici e guerrafondai. Anzi. Ai nazionalismi del presente si sostituirebbe un neonazionalismo posticcio e retorico, conflittuale al suo interno e aggressivo verso l'esterno. Gli imperi del passato si facevano la guerra esattamente come le città-stato del Peloponneso o le tribù della Gallia, ma con ben altra disponibilità di mezzi e quindi procurando più lutti.

In compenso, una razionalizzazione di questo tipo produrrebbe - e sta già producendo - un effetto tonnara dove la riduzione dei centri decisionali estenderebbe il potere di chi già li occupa a popolazioni e territori sempre più vasti, a parità di sforzo. Gestire singolarmente campagne di comunicazione e di lobbying in decine di paesi è molto costoso, ma soprattutto espone al rischio di conseguire esiti eterogenei per modalità ed efficacia. Sicché conviene concentrare gli sforzi in un'unica sede, ad esempio nei corridoi asettici di Bruxelles, lontani dagli occhi degli elettori e dal cuore dei potentati locali. La centralizzazione è l'aspirazione naturale del dispotismo. Come Luigi XIV eresse la reggia di Versailles per allontanare l'aristocrazia dalle province ed estendervi il suo dominio assoluto, oggi le élites finanziarie coltivano il feticcio di un mondo fraterno e senza confini per levarsi i popoli, e i cosiddetti intellettuali, dai piedi.


Leave a comment

Send

Stefano Longagnani 17 maggio, 2017 16:12

Vorrei sottoporLe, caro Il pedante, una riflessione (non ho posto migliore di questo). Ho molti amici convintamente no-borders (tempo fa erano no-global, ma senza accorgersene hanno cambiato sponda). A loro vorrei dire che mi sovviene Amleto...

Essere dalla parte del capitale o non essere dalla parte del capitale? Questo è il problema.

Cosa vuole il capitale? Vuole le quattro libertà: libera circolazione dei capitali, libera circolazione delle merci, libera circolazione dei servizi, libera circolazione della manodopera.

Perché vuole queste quattro libertà?

La circolazione di capitali, merci, servizi e manodopera permette di fare arbitraggio tra i vari proletariati, e scegliersi quelli più sottomessi.

Se un proletariato alza la testa, si chiude la fabbrica e si delocalizza, si disinveste. Che potere hanno i sindacati una tale situazione. Nessuno. Solo i governi potrebbero qualcosa. Ma si chiama protezionismo e ormai nella testa della gente fa rima con fascismo (quando al contrario, il fascismo, quello storico e non quello nella testa di tanti antifascisti della domenica, fu il frutto naturale del liberismo, per tenere a bada popolazioni che non volevano continuare a farsi sfruttare).

Se si ha bisogno di manodopera (qualificata o non qualificata) la si importa, evitando il problema dell'aumento degli stipendi, che sarebbe inevitabile conseguenza dell'aumento di domanda. Anche qui, che potere hanno i sindacati? Nessuno, se non di proteggere le posizioni di chi ha il culo già al caldo (giustamente, si badi): pensionati e lavoratori a tempo indeterminato. Solo i governi possono fare qualcosa. Ma viene chiamato razzismo. Quando chiunque si dovrebbe rendere conto che se da una parte è un sacrosanto diritto individuale il poter emigrare, non può essere un diritto collettivo, pena la disarticolazione delle società accoglienti. Ci deve essere un limite, delle regole. E ci devono essere interventi di tutte le nazioni perché le persone non siano spinte a emigrare a causa di guerre, persecuzioni, e soprattutto povertà. Sto sognando.

In ultimo è necessario controllare i media in modo da convincere le popolazioni che queste quattro libertà sono giuste e sono convenienti per i popoli.

Su merci e servizi è facile. Basta ridurre i cittadini a consumatori, e raccontar loro che la concorrenza gli fa bene (magari cercando di mettere la sua tutela in Costituzione, come si è cercato di fare con il referendum dello scorso 4 dicembre). Il cittadino ridotto a consumatore comprerà a meno le scarpe prodotte da nuovi schiavi in estremo Oriente, e sarà contento. Per quella piccola frazione di persone che pensano con empatia ai lavoratori sfruttati in Vietnam, basta creare marchi di eticità dei prodotti. Iniziative lodevoli, che però non metteno in discussione il libero commercio.

Sulla libera circolazione delle persone. Qui è particolarmente facile. Basta ridurre il problema al suo lato etico. Facendo finta che gli effetti pratici, se il fenomeno è oltre un certo livello, non esistano. E a chi si lamenta di questi effetti (che si sono sempre verificati, cento anni fa quando emigravano gli italiani in USA o in Belgio, e oggi per gli immigrati che arrivano in cerca di fortuna qui da noi) basta dare del razzista.

Morire, dormire.

Dormire, forse sognare. Sì, qui è l'ostacolo, perché in quel sonno da consumatore bombardato di propaganda dai media,, quali sogni possono venire?

Reply

Fabrice 09 novembre, 2016 20:07

Scusate, ma senza farsi tante pippe mentali, basta fare una premessa logica di base fondamentale:

"Simile attrae simile" e quindi già l'Unione Euroea è un progetto folle di per sè perchè unire forzatamente popoli e culture del Sud Europa con popoli e culture del Nord Europa è un totale nonsense!!

Figurarsi poi se a forza ci si vuole ficcare dentro una marea umana di africani e mediorientali, quello che ne esce fuori può solo essere un caos totale distruttivo e per niente costruttivo!!

Ma poi basta guardare gli USA come si sono ridotti, una società multietnica dominata in tutto e per tutto da oligarchie che se ne fregano altamente di cosa va bene o no al popolo americano!!

Insomma, le oligarchie prosperano quanto più una società è divisa nelle sue diversità!!

Ma poi quello che si sottovaluta altamente è che per fare gli stati nazionali, ogni nazione ha versato oceani di sudore, fatica e in alcuni casi sangue e gettare alle ortiche tutto questo per fondere il tutto in delle entità sovranazionali senza anima e cuore è da folli per usare un eufemismo!!

Va bè, ma se sono arrivati a dire che il matrimonio omesessuale con figli annessi e connessi è cosa buona e giusta e allora come dicono gli inglesi: the sky's the limit!!

Mondo di pazzi....!!

Saluti.

Fabrice

Reply

Cosmo 02 settembre, 2016 16:46

Grazie per questo articolo. Sto leggendo la "trilogia" e sono in vena di commentare.

Condivido tutte le osservazioni, in particolare la denuncia del feticcio della globalizzazione (nella sue varie versioni dalla UE al WTO). Tuttavia trovo il titolo fuorviante in maniera grave. Non si possono accomunare i NO-Border (attivisti che rischiano in proprio per esprimere solidarietà materiale politica ai migranti) alle elites finanziarie. Una cosa è il feticcio della globaizzazione, altra sono le traversate in mare, il carcere, e le umiliazioni che i migranti devono affrontare.

Non si può dare adito a confusioni pericolose. Non si può dare ai migranti la colpa delle guerre da cui sono costretti a fuggire, e non si possono addossare la responsabilità politica ai NO-border che sono gli unici, che io sappia, a denunciare il feticcio della globalizzazione.

Reply

Cosmo 02 settembre, 2016 19:02

PS: se poi con "NO-Border" intendevi i buonisti del PD, allora dobbiamo prima capirci sui termini.

Reply

Il Pedante 03 settembre, 2016 12:32

Sig. @Cosmo, la Sua testimonianza è preziosa ma non deve trasformarsi nel manifesto unico di quella esperienza. Le ricordo che tra i no-global militavano contadini francesi, sindacati e associazioni professionali che si dichiaravano ASSOLUTAMENTE CONTRARI al libero movimento di merci e capitali. E giustamente, come la storia ha dimostrato.

Il fatto che Lei e i Suoi compagni lottaste contro QUESTA globalizzazione è un'illusione di cui ho già parlato qui: http://ilpedante.org/post/il-questismo-tra-seduzione-e-conservazione. Spalancare le porte all'UNICA globalizzazione che oggi esiste raccontandosi che DOPO (e non si sa COME) la si trasformerà in una globalizzazione buona (?) è evidentemente un servizio gratuito reso ai propri nemici.

Il capitalismo globale è NO-border, per cui si immagini quanto tema gli attivisti: https://en.wikipedia.org/wiki/Open_Society_Foundations

Reply

Cosmo 04 settembre, 2016 18:54

Caro Sig. @Il Pedante, a scanso di equivoci, chiarisco che ciò che intendevo nel mio commento all'altro articolo [http://ilpedante.org/post/noborders-wto-e-c-era-una-volta-seattle] era che i c.d. NO-Global sono sempre stati promotori della libera circolazione delle persone, e mai hanno sostenuto la libera circolazione delle merci.

Reply

L'Immerit. 18 maggio, 2016 09:17

Mi permetto di segnalare un testo che, ormai parecchi anni fa, fu per me il primo passetto verso un minimo di coscienza, di dubbio su molte certezze da pochi soldi. Dell'idolo più acclamato, secondo solo a Che Guevara, il Subcomandante Insurgente Marcos: "Le sette tessere ‘ribelli' del rompicapo globale". Il testo tradotto in italiano può essere trovato qui: https://camminardomandando.files.wordpress.com/2015/07/04-marcos-e-book.pdf (non ho letto questa introduzione, né questa traduzione, ma il testo mi pare corretto).

Tra i tanti passi: "L’Unione europea, una delle megalopoli prodotte dal neoliberismo, è un risultato dell’attuale IV Guerra Mondiale. Qui, la globalizzazione economica ha ottenuto di cancellare le frontiere tra Stati rivali, nemici tra loro da molto tempo, e li ha obbligati a convergere e a pianificare l’unione politica. Dagli Stati nazionali alla Federazione europea, il cammino economicista della guerra neoliberista nel cosiddetto ‘Vecchio Continente’ sarà disseminato di distruzione e di rovine, e una di esse sarà la civiltà europea."

E non parliamo dei comunicati in cui si proclama che l'EZLN lotta per la patria messicana e per la bandiera!

Da quando ho letto Marcos, mi sono sempre chiesto tre cose: i) se poteva capire lui così tante cose, mentre era nel mirino di un fucile in una foresta dell'America centrale, perché nessuno capiva nulla qui (fingeva di non capire)? ii) per una volta, io qui mi assolvo, nel 1997 ero un bambino, ma cosa leggevano i rivoluzionari nostrani? o soprattutto come leggevano, visto che questo testo l'avranno certamente letto? iii) Se in Messico lottano per uno stato che gronda sangue del suo popolo da tutte le parti, un motivo ci sarà, e non può essere solo che lì c'è il sole e la gente sorride. Com'è che non vale la pena lottare per l'Italia?

Solo alla terza domanda ho trovato risposta.

Reply

Il pedante 19 maggio, 2016 00:13

@L'Immerit. Non conoscevo questo documento. Riconosco che è straordinario, soprattuto per la data in cui è stato scritto. Ne sto traendo ampi stralci, dovrò studiare l'opera di Marcos.

Reply

L'Im. 19 maggio, 2016 10:48

@Il pedante Averle fatto conoscere questo pezzo mi onora, e anche mi stupisce.

Evidentemente la propaganda funziona bene. L'EZLN ormai non se lo fila nessuno, è solo una datata icona romantica, immagino che perfino nei centri sociali desti un certo imbarazzo. Citando un mio compagno di università: essere minoranza della minoranza (o meglio: essere emarginato dagli emarginati) ha i suoi vantaggi (ovvero: si può leggere quel che si vuole).

Reply

Massimiliano 19 maggio, 2016 13:24

@L'Immerit. Testo illuminante che ho letto tutto d un fiato e che mi riprometto di rileggere con calma, sui rivoluzionari nostrani posso solo dire, come sostiene il Pedante, che sono sempre stati funzionali al sistema,poi sai, non basta saper leggere serve anche capire il senso di ciò che si legge e in questo mi sa che esclusi quelli in malafede per interessi personali e di bottega gli altri, fra una canna e una bottiglia, hanno sempre avuto dei problemi abbastanza evidenti.

Reply

L'Immeritocrate 21 maggio, 2016 21:10

@Massimiliano Aver segnalato l'articolo me l'ha fatto rileggere (un'altra volta) e stavo riflettendo sul fatto che, 20 anni dopo, alcuni dei punti dell'EZLN sono stati rigirati, svuotandoli di significato, a proprio favore dal "capitalismo", in particolare corruzione e inclusione del diverso, ecologia. Credo questo dovrebbe farci riflettere su quale temibile avversario abbiamo di fronte. E mi fa pensare che Marco Rizzo abbia ragione quando dice (rielaboro da memoria) che se non si fondono le lotte in un tutto organico (che lui chiama socialismo), si ha perso in partenza.

Reply

masto pesto 15 maggio, 2016 10:58

QUESTO EDITORIALE, DI UN'ONESTA' INTELLETTUALE ASSAI RARA in ITALIA, ci esplicita FINO IN FONDO, dove si va a finire se ci si imbarca con i "NO EURO" da SINISTRA, siccome ne ho avuto a più riprese la tentazione, mi aiuta a trarre le dovute conclusioni, di questo ringrazio l'ignoto autore. Sull'articolo (esercizio retorico, NESSUNO LO LEGGERA', come nessuno leggerà questo mio commento) prescindendo da problemi di valutazione sulle varie esperienze citate, a partire proprio da quella venezuelana (apprezzo però moltissimo che le si individui, finalmente, come socialiste patriottiche e non socialiste nel senso tradizionale del termine) QUELLO che più m'inquieta è che, guardandomi intorno, non vedo possibili interlocutori, SE NON I FASCISTI, e mi ricordo, che le costituzioni democratiche, più che frutto delle varie Resistenze, furono il risultato dell'opera DEMOLITRICE dell'aviazione angloamericana, in caso contrario avremmo avuto il Reich di mille anni, del resto basta aspettare e questa Europa (di guano) sarà sostituita dalla EUROPA dei popoli e delle NAZIONI (POLONIA, UNGHERIA, SLOVACCHIA ecc già ci sono arrivate) CHE BELLO, EH? Insomma, io vedo pochissimi "socialisti patriottici" in compenso vedo tantissimi FASCISTI e qualche stalinista che per farsi bello cita Orwell. Ci tengo a precisare che questa mia uscita non è a sostegno dei no borders (che se apprezzo sul piano ideale, disprezzo totalmente su quello politico) appena pochi giorni fa ho scritto che i veri internazionalisti sono quelli della Guardia Costiera e il Governo Renzi che di migranti ne salva assai più di loro. LA SINISTRA è FINITA, ha raccontato troppe favole

Reply

Ippolito Grimaldi 15 maggio, 2016 21:19

@masto pesto

Mah, io per la verità leggo sempre tutto.

Reply

Stefano Longagnani 14 maggio, 2016 10:09

Vorrei pedantemente documentare una menzogna. Il confondere ad arte le parole. Nell'articolo 11 della Costituzione si parla infatti di "limitazione" non di "cessione" della sovranità, come invece Pietro Ichino fa finta di non sapere. Riporto entrambi i passi e i riferimenti. La seconda frase dell'articolo 11 recita: «[L'Italia] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». Pietro Ichino scrive: «Avete capito bene: per il Procuratore di Palermo è incostituzionale anche l’articolo 11 della Costituzione che consente la cessione di sovranità, e con esso l’intero processo in atto di integrazione europea (a proposito del nuovo spartiacque politico tra “sovranisti” e “globalisti”).»

Preso da qui:

http://www.pietroichino.it/?p=40258

Reply

Il Pedante 15 maggio, 2016 00:36

@Stefano Longagnani La segnalazione è preziosa. Del resto se si facesse loro notare l'errore, direbbero che la Costituzione è da aggiornare.

Reply

Francesca 23 giugno, 2016 11:48

@Il Pedante In un mondo perfetto si dovrebbe avere il diritto di porre obiezioni stringenti a chi fa affermazioni come quelle di Ichino. E gli Ichino del caso dovrebbero avere il dovere di rispondere in maniera sensata. Ringrazio anch'io Stefano Longagnani per la segnalazione e @Il Pedante per questo prezioso spazio e per il vostro lavoro, che ho scoperto oggi grazie a un fortunato passaparola. A presto.

Reply

ws 13 maggio, 2016 19:11

complimenti per la lucidità di questa "trilogia"

Reply

luigi 13 maggio, 2016 17:25

non per fede ma perché non avendo idee assumono quella più idonea all'immagine che vogliono dare di se. per avere un'idea bisognerebbe che questa gente dedicassedi tempo allo studio ma oggi quello che cercano sono le idee esprimibili con un tweet , brevi comprensibili e finanche condivisibili espresse in slogan indossabili al cui interno non c'é niente ma guai a dirglielo perché di slogan ne hanno a disposizione in proporzione all'idea che hanno di se e che é diversa dal vero al quale in buon dio non vuole che partecipino..

Reply

Valentino Baioni 13 maggio, 2016 17:24

Apprezzando moltissimo il tuo lavoro di "ripetizione dell'ovvio come atto rivoluzionario", vorrei proporre alla tua attenzione un paio di video che ho visto per caso:

https://www.youtube.com/watch?v=k8vVEbCquMw

https://www.youtube.com/watch?v=UoP_mSIHqTY

Mi piacerebbe conoscere il tuo parere e comunque suggerirti che "in Italia non vige il socialismo reale ma NEPPURE la democrazia"; il Italia vige il governo rappresentativo (sistema alquanto differente dalla democrazia).

Reply

The Max 16 maggio, 2016 13:53

@Valentino Baioni

Consiglio di leggere http://scenarieconomici.it/discorso-sulla-democrazia/

La forma rappresentativa è una forma di democrazione, ma certo non è una condizione sufficiente.

Reply

Salvatore 16 maggio, 2016 16:12

@The Max Ma li hai visti i video postati?

Reply

Simone Zantedeschi 13 maggio, 2016 13:08

Grazie a sua eminenza il Pedante. Le sue parole riescono magistralmente bene a chiarire perché essere di sinistra ed essere patrioti non è una contraddizione.

Mi permetta una citazione (che lei probabilmente conoscerà).

Mao Zedong - Libretto rosso. XVIII - Il patriottismo e l'internazionalismo: "Un comunista, che è internazionalista, può essere nello stesso tempo un patriota? Noi pensiamo che non soltanto può, ma deve esserlo. Soltanto le condizioni storiche determinano il contenuto concreto del patriottismo. Esiste il nostro patriottismo ed esiste il "patriottismo" degli aggressori giapponesi e quello di Hitler, al quale i comunisti devono opporsi risolutamente. I comunisti giapponesi e tedeschi sono favorevoli alla sconfitta bellica del proprio paese. Contribuire con tutti i mezzi alla sconfitta degli aggressori giapponesi e di Hitler è nell'interesse dei loro popoli, e quanto più questa sconfitta sarà completa, tanto meglio sarà. ... Poiché queste guerre scatenate dagli aggressori giapponesi e da Hitler sono funeste per il popolo dei loro paesi quanto per gli altri popoli del mondo. Altrimenti stanno le cose per la Cina, che è vittima dell'aggressione. Ecco perché i comunisti cinesi devono unire il patriottismo all'internazionalismo. Noi siamo contemporaneamente internazionalisti e patrioti e la nostra parola d'ordine è di lottare per la difesa della patria contro l'invasore. Per noi, il disfattismo è un delitto, e la lotta per la vittoria nella guerra di resistenza è un dovere a cui non possiamo sottrarci. Poiché soltanto la lotta per la difesa della patria consente di vincere gli aggressori e di liberare la nazione. Soltanto questa liberazione rende possibile l'emancipazione del proletariato e di tutto il popolo lavoratore. La vittoria della Cina sui suoi aggressori imperialisti sarà un aiuto per i popoli degli altri paesi. Nella guerra di liberazione nazionale, il patriottismo è quindi un'applicazione dell'internazionalismo."

I sinistri, oltre a tante altre cose, hanno dimenticato che il patriottismo non ha origine ideologica ma profondamente razionale e quindi etica.

Reply

Burchiello 13 maggio, 2016 11:17

Più si allarga l'obbiettivo più il cittadino, coi suoi diritti, diventa non un atomo ma una particella subatomica. Con il declino dei partiti, ormai comitati d'affari, in quanto luoghi di politicizzazione delle masse, la capacità dei singoli di far valere le proprie ragioni e far pressioni presso il governo svanisce. Questo vale per le nazioni attuali: figuriamoci per i superstati o per un ipotetico (assurdo, folle) governo mondiale.

La "cessione di sovranità" non è altro che un modo per frapporre tra il cittadino dotato di diritti civili e politici e il governo una miriade di muri: così l'esperienza politica diventa come la vicenda di Josef K. del Processo, una frustrazione continua destinata a un esito mortale.

Senza contare i problemi meramente tecnici: come si conduce una campagna elettorale europea o mondiale? In quale lingua? Su quali media? Dovremmo gradatamente abbandonare le lingue nazionali, dimenticarle e imparare tutti l'inglese e solo l'inglese? A quanto pare sì: su Twitter ho letto qualcuno che sosteneva questa cosa inconcepibile (è uno degli ammiratori più convinti del rignanese).

Reply

Maeco 13 maggio, 2016 06:58

Eppure ogni giorno mi incontro con chi li aiuta. Inconsapevole nel mantra del bispensiero. E com'è difficle (rectius: impossibile) spostarli dalle loro posizioni. Il Verbo è il Verbo. È un atto di fede.

Reply